
Mese: Luglio 2021
Immensa, calda estate
Quando il cardo fiorisce e da un albero la cicala canora
diffonde l’armonioso frinire battendo le ali, è giunto
il tempo dell’estate, all’ombra e con il cuore sazio,
beviamo allora il vino generoso godendo del dolce alitare
di Zefiro sul viso.
(Esiodo)

È l’alba e il mare non finisce all’orizzonte. Una conchiglia racconta alla sabbia silenziosa la profondità del tempo. Una brezza leggera mi sfiora, e godo del placido canto del mare. Cammino leggero e il camminare, quasi una danza, accresce la mia emozione. Ogni tanto, fermandomi, penso alla profondità dello spazio che abbraccio con lo sguardo e a quella, ancora più grande, che tocco con il pensiero e la forza di questa suggestione mi commuove. Accidenti, gli anni (ho superato la ……….ntina!!!) passano anche per me!
Quel piccolo anelito di vento che soffia sul mio corpo, è più di un soffio di frescura: è un brivido che mi riporta alla realtà.

Pianeta speciale la terra, corpo celeste meraviglioso. Abbondanza di acqua, di aria respirabile, natura rigogliosa e generosa, varietà grandiosa di specie vegetali e animali. E l’uomo….Vi sono passati Michelangelo, Leonardo, Dante, Shakespeare, Fidia, Petrarca, Virgilio, Newton, Galileo, Raffaello, Beethoven, Bach, Dostoevskij, Manzoni, Kant, Hegel, Tolstoj, Leopardi…………e ci vive Angelo Bianco…!
E’ grazie al Sole che la Terra è il luogo speciale che è. Esso ci fornisce calore, energia e luce, tutte risorse, queste, indispensabili perché la vita si sviluppasse, e continuasse, sul nostro pianeta.
La dimensione quasi sacra del sole trova la sua massima esaltazione nel Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi con la lauda al Signore per “messer lo frate sole, lo qual è iorno et allumini noi per lui. Et ella è bella e radiante cum grande splendore”.
L’estate è il trionfo del sole, è il tempo della sua esaltazione. Il sole d’estate è meraviglioso, stella quasi degna di contemplazione. Spoglia e mette a nudo il corpo al cospetto della natura e lo rinvigorisce con i suoi raggi che danno alla pelle il colore della salute, cancellando il triste pallore invernale. La bellezza dell’estate è anche nella sensazione di libertà e di sintonia con l’universo e con la natura, all’aria aperta.

Tutto è più bello d’estate: il mare, la montagna, i prati, i boschi, i pendii, i fiumi, i laghi, le valli, le colline, il giorno e la notte, le persone, i visi, i sorrisi, i corpi. E poi la buona compagnia e le amicizie, gli amori, i frutti, i cibi estivi, i sapori, gli odori. È un invito costante ad uscire all’aria aperta, a tuffarsi nella natura e a dar fondo alle nostre energie, lasciandoci travolgere dal ritmo vitale tipico di questa stagione.
Dedichiamoci allo sport, viviamo con gioia, almeno finché si può, il periodo delle nostre ferie, ed eleviamo un inno alla vita! L’estate è meravigliosa, è la stagione della bellezza, ma la bellezza, ricordiamolo, non è mai tale se non è completa, ovvero interiore oltre che esteriore. Insomma, per chi non ne fosse ancora convinto, e senza voler fare torto alle altre stagioni, amo l’estate sopra tutte.

Stagione del riposo per eccellenza, momento delle vacanze, pausa meritata dalle consuete attività. Penso, però, che questa pausa non debba significare deconcentrazione, e lo stesso vale per l’esposizione al sole, che aiuta ad “accumulare salute” per le altre stagioni, ma che, se eccessiva, può causare malattie, anche gravi. Non è la stagione delle “diete” intese come programma restrittivo per perdere molto grasso. Pretendere di ritornare in forma nello spazio di poche settimane, con attività fisica frenetica e diete assurde, è un errore gravissimo, già di per sé, in tutti i periodi dell’anno, ma diventa insensato in estate quando siamo spaventati dalla “prova costume” ed è difficile (ma chi se ne frega!) nascondere le maniglie o la cellulite accumulata.
Dovrebbe invece essere la stagione della riflessione “salutistico-alimentare”, a maggior ragione per il fatto che non si può più invocare la mancanza di tempo come alibi. In vacanza si può finalmente recuperare l’abitudine di una vera prima colazione, sperando poi di riscoprirne il gusto e l’importanza anche nei mesi successivi. L’estate è il periodo adatto per preferire cibi poveri di grassi, e quindi più digeribili, orientando la scelta verso gli alimenti di stagione.

Molta frutta e verdura fresca, dunque, ricche di acqua biologica, vitamine e minerali, particolarmente preziosi per reintegrare i liquidi persi con il sudore. Prediligere frutta e verdura, preferibilmente prodotti a Km zero, che garantiscono la carica, non solo di calorie ma anche di nutrienti preziosi, cosa questa che i prodotti provenienti da parti lontane del mondo non possono assicurare.
Poiché, inevitabilmente, il caldo riduce il senso di fame, è opportuno optare per piatti freddi, sia a prevalenza glucidica, come una pasta fredda condita con erbe aromatiche, verdure ed olio di oliva extravergine, sia a base proteica (quale un carpaccio di pesce spada, di tonno, un uovo sodo, con verdure, un’insalata di pollo, un prosciutto e melone…). Non vanno bene i sughi elaborati e si possono riscoprire aromi e spezie che aiuteranno a usare meno sale ora che è universalmente risaputo che l’eccesso di sodio è sconsigliabile per chiunque.
Il gelato non andrebbe assunto come sostituto del pasto (se non occasionalmente) ma come spuntino, specie laddove il pasto precedente sia stato scarso. Attenzione infine al consumo di prodotti ittici crudi, perché, se da un lato un cibo non cotto mantiene intatta buona parte delle proprie caratteristiche nutrizionali, quando viene a mancare la cottura, i prodotti ittici vengono privati dell’opportuno trattamento di bonifica e occorre essere certi che siano garantite anche tutte le qualità sanitarie.

Attenzione anche alla attività fisica. Essa va svolta con gradualità e con un certo criterio, perché, se praticata da subito con intensità e senza opportuna preparazione, potrebbe portare a traumi tendinei ed osteoarticolari.
Rammentate che d’estate occorre bere più del solito, perché si suda di più e ci si disidrata più facilmente, specie se si pratica una attività sportiva. Questo vale soprattutto per i bambini anche se una speciale attenzione deve essere dedicata agli anziani dal momento che essi avvertono con ritardo lo stimolo della sete.
È bene evitare le bevande ghiacciate e preferire quelle fresche, è inoltre opportuno bere acqua naturale (tuttavia 2-3 bicchieri di acqua gassata non son dannosi ai più) e, se sovrappeso o bisognosi di reidratarsi tempestivamente, evitare le bevande zuccherate. Anche laddove vi siano i presupposti per gustare un bicchiere di vino ai pasti, è opportuno tener presente che gli alcolici fanno aumentare la sudorazione.
Estate è comunque sinonimo di vacanze, di relax…..
Orbene, buone vacanze anche a voi, ci rivediamo fra qualche settimana….
Il Miele (parte terza)
Gli amanti, come le api, vivono nel miele
(Frase lasciata da un anonimo
nella Casa degli Amanti di Pompei)

L’Italia è in coda ai consumi pro-capite, 500 g annui a testa, contro la media europea che si attesta sui 650 g. Il consumo record, di circa 1.2 Kg a testa, si verifica in Germania, Francia e Grecia.
Perché ne consumiamo poco? Non certo per motivi medici…
Tuttavia, una precisazione è doverosa.
Il rapporto tra miele e diabete è insito nell’aggettivo mellito, “dolce come il miele”, in riferimento al sapore delle urine (un tempo non vi erano le analisi di laboratorio).

Per gli individui diabetici il miele può rappresentare una buona alternativa allo zucchero? Sostanzialmente la risposta è negativa. Il miele, essendo ricco di fruttosio, è più dolce dello zucchero, quindi come edulcorante può essere utilizzato a dosi inferiori.
Purtroppo però, essendo un alimento semiliquido, è dosabile con difficoltà.
Il miele è oltretutto ricco di vitamine, minerali ed altre sostanze utili per l’organismo mentre lo zucchero apporta calorie “vuote”, perché ricco di energia ma estremamente povero di micronutrienti.
Tuttavia molto simile è il quantitativo di zuccheri e calorie, elementi che devono essere attentamente valutati per il paziente diabetico, moderandone la quantità, in ragione del fatto che non conta solo la qualità dell’alimento (Indice Glicemico) ma anche il quantitativo ingerito (Carico Glicemico). I. G. del miele 55, saccarosio 61.
Le differenze nella risposta glicemica dell’organismo sono minime ed il miele va quindi consumato, da parte dei diabetici, con la stessa parsimonia dello zucchero.
Però, tralasciando i pazienti diabetici, al miele vanno riconosciute parecchie virtù. Produce 300 calorie/etto, contro i 400 del saccarosio, inoltre è di facile digeribilità e rapida assimilazione tanto che è considerato un integratore naturale per i soggetti sportivi.
La presenza di acqua rende il miele meno calorico dello zucchero, pregio non trascurabile nella stagione delle diete, specie in virtù del fatto che è dotato, altresì, di un superiore potere dolcificante. Ha solo il 18% di acqua, una quota proteica esigua derivata dai granuli di polline (0.6%), e, grazie all’alta concentrazione zuccherina, non necessita di trattamenti di conservazione.
Pur essendo un alimento che si preserva molto bene, si suggerisce di non prolungarne la conservazione oltre i due anni, al fine di evitare che perda le sue caratteristiche organolettiche.
Sul carrello dei formaggi il miele è oggi diventato un partner onnipresente, capace di smorzare i toni forti e di esaltarne gli aromi, soprattutto di quelli di capra e di pecora.
Propoli

Sostanza viscosa che le api raccolgono sulle gemme degli alberi, ricca di bioflavonoidi, galangina, apigenina, dal forte potere antimicrobico, nonché resine, cere, balsami.
Essa è prodotta alla fine della stagione di raccolta dei pollini, tra agosto ed ottobre, quando le api si preparano a fronteggiare l’inverno. In questo periodo ad alcune api bottinatrici viene affidato il compito di raccogliere la resina dai germogli di foglie e dalle cortecce di alcune specie di alberi; questa viene trasformata in propoli ed impiegata come materiale da costruzione e da difesa, per sigillare, proteggere e rinforzare gli alveari, ovvero si fissano i favi e si chiudono le fessure degli alveari. Con essa si “verniciano” le pareti interne dell’alveare, in particolare la camera della regina, che viene così disinfettata a dovere prima che inizi la deposizione delle uova.

Svariati test clinici hanno messo in evidenza il suo elevato potere antibatterico, antivirale ed antimicotico. L’attività antimicrobica è correlata alla concentrazione dei principi attivi, che però è estremamente variabile; è questa la ragione per cui diventa importante poter standardizzare i prodotti presenti in commercio. La propoli dimostra una buona attività antivirale di inibizione anche sui generi herpes simplex e alcuni virus respiratori.
Alla propoli vengono attribuite anche qualità antiallergiche, dovute alla combinazione di polline e principi attivi. La terapia prescritta in questi casi è di tipo “desensibilizzante”, cioè volta ad abituare gradualmente il sistema immunitario agli allergeni, in modo che, quando la stagione della fioritura libererà nell’aria grandi quantità di pollini, la reazione sarà meno intensa. Tuttavia è necessario porre molta attenzione alle percentuali di polline presenti nella propoli, perché, in base alla gravità della propria allergia e alle proporzioni tra i vari tipi di polline presenti, si può rischiare di andare incontro a reazioni allergiche indesiderate.
Non bisogna comunque somministrare propoli a bambini di età inferiore ai 3 anni.
Pappa reale.

Prodotto secreto dalle ghiandole faringee delle api nutrici, che hanno il compito di alimentare le larve dell’alveare durante i primi 3 giorni di vita. Solo quelle selezionate per diventare ape regina saranno alimentate con pappa reale per tutta la vita larvale.
La pappa reale contiene mediamente: 60-70% di acqua, un 12-15% di proteine, il 10-16% di zucchero, 3-6% di grassi, 2-3% di vitamine. La sua composizione varia a seconda della geografia e del clima.
La pappa reale va consumata di preferenza al mattino a digiuno, un po’ prima di colazione. E’ suggerito l’uso di pappa reale abbinata al miele, stemperandone la giusta quantità in un cucchiaino da minestra. L’utilizzo va ripetuto 2 o 3 volte all’anno per periodi di almeno 30 giorni a intervalli regolari.
Una nota di colore….
La tipica espressione “luna di miele” nasce da una particolare bevanda, definita “idromele” che nell’antichità veniva fatta bere agli sposi come augurio per propiziare l’arrivo di un figlio maschio.

La prossima settimana parliamo di estate.
Il Miele (parte seconda)

Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti
è come il profumo del Libano.
(Cantico dei Cantici)
Un po’ di storia
Le prime tracce di arnie costruite dall’uomo risalgono al sesto millennio a.C. Il miele era già conosciuto in Egitto, Mesopotamia, antica Babilonia e Grecia, ed era una componente importantissima dei riti che prevedevano offerte votive alle divinità.
Virgilio, il massimo poeta della latinità, tratta, nel quarto capitolo delle “Georgiche”, l’argomento dell’apicoltura. Il mondo delle api ha ispirato pagine sublimi della letteratura latina.
Società matriarcale

L’ape è un insetto estremamente evoluto ed è definito eusociale. Essa vive in una società ben strutturata, l’alveare, che è organizzato per caste, tre, ognuna delle quali presenta caratteristiche proprie e ha compiti ben differenziati e precisi: l’ape regina, i fuchi e le api operaie, tutte indispensabili per il mantenimento dell’equilibrio dell’alveare e per il suo corretto sviluppo.
La maggior parte delle api è di genere femminile, lo sono la regina e tutte le operaie.
Solo l’ape regina, la madre di tutte le api di un alveare, è feconda. L’alimentazione della regina è particolare: essa è l’unica che viene nutrita per tutta la vita con pappa reale. La sua speciale alimentazione non è responsabile solo del suo diverso aspetto, ma anche della sua longevità. Un’operaia vive circa 4 settimane durante la stagione produttiva e non più di 6 mesi durante l’inverno. La regina, in alcuni casi, può sopravvivere fino a 5 anni, anche se in media non supera i 2-3 anni.
I suoi compiti
L’ape regina, essendo l’unica femmina fertile, deve preoccuparsi solo della deposizione delle uova. Nel periodo di piena espansione dell’ alveare, può deporre fino a 2000 uova al giorno! Alcuni studi, poi, hanno dimostrato che l’ape regina sarebbe in grado di capire quando è necessario deporre più uova da fuco per mantenere in equilibrio la popolazione dell’intero alveare.
Accoppiamento e fecondazione

Quando una regina esce dalla sua cella, è “vergine” ovvero non fecondata e, in questa condizione , non sarebbe di alcun aiuto allo sviluppo della colonia. Tra il 5° e il 15° giorno dopo la sua nascita, essa inizia dei voli di perlustrazione all’esterno dell’alveare, che culminano nel cosiddetto “volo nuziale”, verso il luogo dove si concentrano i fuchi, per l’accoppiamento.
Si sa per certo che durante un volo nuziale, la regina si accoppia con più fuchi. Più alto è il numero di fuchi che la fecondano, maggiore sarà la costanza nel tempo dell’ovodeposizione, il che consentirà un’alta variabilità genetica all’interno dello stesso alveare, cosa questa importante per la sua sopravvivenza e salute.
I fuchi non escono indenni dall’accoppiamento. Una volta che questo è terminato, i loro organi genitali vengono letteralmente strappati e questo ne comporta la loro morte.
Le api sono sensibili ai campi elettromagnetici

Che si tratti di una società matriarcale laboriosa e organizzatissima è notorio. Un po’ meno si sa che le api sono un indicatore di qualità ambientale straordinariamente sensibile. Esperimenti condotti nell’università tedesca di Landau suggeriscono, ad esempio, che le api possano essere gravemente minacciate dalle onde elettromagnetiche dei cellulari. Gli insetti, secondo queste ricerche, rifiutano di rientrare negli alveari se nei paraggi si trovano ripetitori o congegni elettromagnetici.
Ritornando ad un argomento già affrontato nel precedente articolo è opportuno ribadire che non tutte le specie botaniche sono adatte alla produzione di miele. L’Italia è senz’altro uno dei paesi con la più grande varietà di miele uniflorale che, quando molto puro, ha caratteristiche organolettiche diversissime tra loro. Tuttavia si può trovare che un miele uniflorale sia inquinato da altre varietà che ne diluiscono le caratteristiche.

Alcuni tipi di miele, venduti al supermercato, restano sempre liquidi, ma questa loro caratteristica potrebbe dipendere dall’aver subito trattamenti come la fusione o la pastorizzazione ad alte temperature. Una volta scaldato a più di 45°C, il miele non formerà mai più cristalli; si tratta di un processo che danneggia la carica enzimatica del prodotto e dunque ne intacca le proprietà.
Ulteriori fattori che possono incidere sulla cristallizzazione del miele
Temperatura: se lo si conserva al freddo, a temperature inferiori ai 10°C, la cristallizzazione sarà più rapida. D’estate lo stesso tipo di miele si cristallizza meno che d’inverno. Incidono sulla cristallizzazione anche l’umidità e la presenza di impurità. Se l’umidità è compresa tra il 17 e il 19%, la formazione di cristalli sarà più lenta. Se ci sono impurità come cera, polvere o corpi estranei, essi si comporteranno come nuclei di cristallizzazione e dunque i cristalli si formeranno più facilmente. Da ricordare che il miele derivante da nettari in cui prevale il fruttosio cristallizza più lentamente, come il miele di melata.
Se per motivi di gusto non si ama il miele cristallizzato, si può sempre scaldarlo per far sciogliere i cristalli, ma in questo modo il miele perderà molti dei suoi micronutrienti.
Miele di melata

I principali mieli di melata prodotti in Italia sono quello di Metcalfa, che prende il nome dall’insetto, e la melata di abete, prodotta dai vari insetti presenti, appunto, solo sugli abeti. Questi tipi di miele sono molto densi e scuri, non sono particolarmente dolci e tendono a rimanere liquidi per molto tempo.
La melata di abete bianco porta a un miele eminentemente da tavola, abbinabile anche a formaggi, sia freschi sia stagionati.
La prossima settimana completeremo l’argomento miele.
Il Miele

L’uomo non è destinato a far parte di un gregge
come un animale domestico,
ma di un alveare come le api.
(Emmanuel Kant)
Dolce. Dolcificante. Aggettivo e sostantivo. Emblema della dolcezza.
In una parola: miele.
Alimento prodotto dalle api sulla base di sostanze raccolte in natura, prevalentemente il nettare e la melata.
Ormai adulto, mi diverto a vagare nel libro della memoria e ad accostare tra loro parole scritte in passato, unire definizioni e scoprire il senso di una raggiunta maturità culturale. Ma non posso non pensare a quanto le mie valutazioni di oggi siano debitrici delle mie acerbe riflessioni di bambino, delle domande che mi ponevo allora e che ancora oggi in qualche modo mi segnano e forse mi arricchiscono.

Mi torna alla mente la golosa curiosità con cui guardavo il vasetto di vetro dal contenuto dorato e morbido che mia mamma posava sulla mensola in cucina. Aspettavo il momento in cui finalmente, tolto il coperchio, avrei potuto gustare questa crema densa del colore del sole e delle spighe di grano a luglio. I raggi di luce che filtravano dalla finestra disegnavano delle pagliuzze dorate sulla parete di vetro ed io le osservavo incantato sfiorando con le dita quel vaso magico.
Mia madre mi ripeteva che ne avrei assaggiato il contenuto, come rimedio, il giorno che fosse servito per un mal di gola oppure, come premio, quando fossi tornato da scuola con un bel voto…
……..ricordi lontani nel tempo. Ma, pensavo, “..un piccolo assaggio non farà poi gran differenza..” e, allora, un pomeriggio in cui i miei genitori erano entrambi usciti, eccomi all’opera. Per le mie piccole mani inesperte l’apertura del barattolo non fu propriamente un gioco da ragazzi. Non volendo lasciar tracce, e camminando su e giù per la cucina, cercavo di svitare delicatamente il coperchio. Alla fine, prova e riprova, sentii il “clac”, dell’apertura del sottovuoto.

Ma la gioia del successo fu subito cancellata da una terribile constatazione: avevo girato e rigirato nelle mani il vaso senza accorgermi che del miele era colato sui calzoncini, sulle ginocchia e sul pavimento. Peggiorai le cose impiastricciandomi, quasi ovunque, le mani e i vestiti, come con dell’attaccatutto, nel tentativo di arginare quella colatura. Ero disperato e, al tempo stesso, eccitato dalla grande quantità di miele che avrei dovuto “far sparire”, nell’intima speranza di salvarmi dalle ire materne. Provai a lavarmi con l’acqua, ma il pavimento era diventato colloso ed io…………………………
L’arrivo di mia madre fu provvidenziale, nonostante l’inevitabile sfuriata. Da solo non sarei mai venuto a capo di quella…appiccicosa situazione. Alla fine scoppiammo tutti e due a ridere, io però dopo di lei! Promisi che non avrei mai più provato a prendere il miele dalla credenza, a meno che non avessi avuto tanto mal di gola da aver bisogno di un po’ di quel nettare (sui voti alti già capivo che non era il caso di contare). Mia madre, teneramente burbera, mi spiegò come usare il miele con misura, ricordandomi il lungo lavoro necessario per produrlo. Imparai così ad apprezzarlo, di buon mattino, spalmato sul pane tostato, o, mescolato con un cucchiaino nel latte caldo, nelle fredde sere di inverno.
Quando ora lo vedo nella credenza o negli scaffali del supermercato, non posso fare a meno di prenderne il barattolo e di rigirarlo tra le mani per apprezzarne le sfumature di colore, immaginando riflesso in quel vetro il volto stupito del bambino che è ancora in me.

La direttiva CEE definisce il miele come un prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie ed immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare.
Il prodotto finale elaborato dalle api è composto al 95% da zuccheri, e di questi il 90% sarà costituito da glucosio e fruttosio.
Se prevale il primo si avrà un miele con tendenza a cristallizzare; se prevale il secondo, un miele più liquido e di più difficile e lenta cristallizzazione.
Ma la tendenza alla cristallizzazione è propria di tutti i tipi di miele, con alcune rare eccezioni, poiché essi, dal punto di vista chimico, non sono null’altro che soluzioni soprassature, ovvero contengono più zucchero di quanto ne possa rimanere stabilmente in soluzione.
In Italia le specie botaniche adatte alla produzione di miele e con fioriture contemporanee sono così tante che il numero delle combinazioni possibili, cioè il numero dei mieli “millefiori” possibili, è pressoché infinito. Non riconoscere l’importanza dell’origine botanica di un miele significa contribuire a dare del miele un’immagine confusa, favorendo i tentativi di sofisticazione o di immissione sul mercato di un prodotto di qualità inferiore.

Questo non significa che il miele uniflorale sia tout court migliore del millefiori: significa però che il legame tra miele e piante e tra piante e territorio è fondamentale per definire le caratteristiche e la qualità del miele.
Tanto più che il miele rigorosamente uniflorale sostanzialmente non esiste o è estremamente raro: le normative internazionali definiscono un miele come uniflorale, se i residui pollinici in esso contenuti provengono per il 70% da una determinata specie botanica e se il miele possiede le caratteristiche organolettiche, fisico-chimiche e microscopiche relative a questa tipologia.
Il miele millefiori non è, come qualcuno pensa, una miscela di tipi diversi, ma è tutto quel miele che non può essere individuato come monoflora in quanto alla sua composizione hanno partecipato vari tipi di nettare, nessuno in maniera prevalente. Il miele millefiori può riservare grandi piaceri ai più golosi, in particolare quello di alta montagna, uno dei più pregiati.
La serie di approfondimenti sull’oro ambrato prodotto dalle api proseguirà la prossima settimana.