Cereali minori e pseudocereali (2° parte)

Continuiamo e concludiamo l’argomento “Cereali” iniziato la scorsa settimana

,,[…]nonostante nelle campagne esistano vasti campi di cereali e pascoli per i bovini, potremmo non renderci conto che quasi tutti i cereali coltivati sono destinati all’alimentazione del bestiame e che la maggioranza degli innumerevoli miliardi di uccelli, mammiferi e pesci che consumiamo è confinata lontano dai nostri occhi, in enormi campi di concentramento chiamati «allevamenti intensivi».
Sebbene oggi non ci sembri tanto ovvio quanto lo era per i nostri progenitori alcune migliaia di anni fa, fondamentalmente la nostra cultura è, come la loro, una cultura dell’allevamento, sviluppatasi intorno al possesso, alla mercificazione e al consumo degli animali.“
Will Tuttle,
Origine: Cibo per la pace, p. 31

Tritordeum

Il Tritordeum è una pianta creata in Spagna, coltivata anche in Puglia, che si caratterizza per la versatilità in cucina, per le virtù salutari e la sostenibilità ambientale. Non si tratta di un Ogm (da un punto di vista puramente legale), anche se ottenuta in laboratorio sommando l’intero patrimonio genetico del grano duro (Triticum durum) e dell’orzo selvatico (Hordeum chilense).

E’ un cereale sui generis, compatibile con la sindrome del colon irritabile (Ibs), per la quale è generalmente consigliata una dieta povera di cereali, in quanto alcune componenti, come il glutine e i fruttani, sono responsabili della sintomatologia.

Farro

Farro: si distinguono 3 varietà principali che fanno parte del genere Triticum come grano duro e grano tenero:

  • Farro piccolo o farro monococco (Triticum monococcum), chiamato anche Grano di Einkorn
  • Farro medio o farro dicocco o semplicemente farro (Triticum dicoccum), chiamato anche Farro Italiano
  • Farro grande o farro spelta, o semplicemente spelta (Triticum spelta), chiamato anche Grano dei Galli.

E’ uno dei primi cereali coltivati dall’uomo. La sua massima diffusione è stata nel Medioevo, con alterne fortune perché di resa più modesta rispetto al grano duro e al grano tenero. Uno sguardo verso il passato ha fatto riscoprire il farro, che, in Italia, ha una storia legata al territorio e alla caparbietà di una parte del mondo contadino nel mantenere viva una grande e vecchia tradizione.

Apprezzato da chi preferisce una vita più vicina alla natura, con la riscoperta di un’agricoltura non intensiva e di antiche varietà coltivate localmente, siano esse frutta, verdura o cereali. La coltivazione dei prodotti di agricoltura biologica ha ampliato e valorizzato il mercato del farro, una tendenza, questa, che garantisce un prezzo alla vendita più alto in grado di compensare la bassa resa della sua coltura.

Il farro vanta un genoma non modificato ed è una pianta che cresce in terreni poveri e resistente al freddo e alla siccità. Il gusto è molto piacevole. Ricorda la nocciola con una qualche nota di sapore di miele. Il pane di farro, in particolare, assume un bel colore dorato. Si trova in commercio sia il farro perlato sia il farro decorticato. Dal punto di vista nutrizionale è meglio quello decorticato, più ricco di fibre e sali minerali, anche se necessita di ammollo e ha tempi di cottura meno rapidi.

Quinoa

Anche la Quinoa viene considerata uno pseudocereale. Tecnicamente si tratta di un seme, anche se le sue proprietà e modalità di utilizzo sono molto più simili a quelle di un grano (frutto). La pianta appartiene alla famiglia delle Chenopidacee, come gli spinaci e la barbabietola. Naturalmente priva di glutine, è ricca di antiossidanti come il campferolo e la quercetina che hanno una potente attività antinfiammatoria.

Le proteine della quinoa, rispetto alla maggior parte dei vegetali, apportano tutti gli amminoacidi essenziali, ovvero amminoacidi che l’organismo non è in grado di sintetizzare e che devono quindi essere introdotti con gli alimenti. Ricca di minerali quali il magnesio, il potassio, lo zinco e il ferro, è importante lasciarla in ammollo prima della cottura per allontanare l’acido fitico, che inibirebbe l’assorbimento di questi minerali.

I semi della quinoa sono ricoperti di una sostanza amara, la saponina, che li protegge dall’attacco degli uccelli, ma che può causare problemi gastrointestinali. Per questo motivo i suoi semi devono essere lavati molto bene prima della cottura. Chi è soggetto a calcolosi renale dovrebbe evitare l’eccesso di quinoa nella dieta perché contiene molti ossalati.

Orzo

L’orzo (Hordeum vulgare) è un cereale antichissimo: sembra che il suo utilizzo nella alimentazione umana risalga al VII millennio a.C. Può essere utilizzato sotto forma di chicchi decorticati, di farina, oppure, macinato e tostato, come base per il caffè d’orzo.

Questa pianta, di cui esistono varie sottospecie, viene coltivata senza difficoltà per gran parte dell’anno, anche se predilige i mesi primaverili e autunnali. Tre sono in particolare le tipologie di orzo disponibili sul mercato:

  • l’orzo integrale (che non ha subito alcun processo di lavorazione),
  • l’orzo mondato (o decorticato, ovvero sottoposto a una specifica lavorazione per eliminare la parte più esterna del chicco)
  • l’orzo perlato (che subisce un processo di raffinazione molto intenso, una sorta di “sbiancatura” che porta all’eliminazione totale di tutta la parte esterna del chicco).

Il primo conserva tutte le caratteristiche nutrizionali tipiche dell’orzo ma necessita di una cottura molto prolungata;

il secondo rappresenta la tipologia di orzo più diffusa nei nostri mercati (necessita di un tempo di cottura inferiore rispetto all’integrale e mantiene pressoché intatte gran parte delle caratteristiche nutrizionali);

il terzo tipo, ovvero l’orzo perlato, ha il vantaggio di poter essere cucinato in tempi molto più rapidi, ma, rispetto alle altre due tipologie, presenta un ridotto contenuto in fibre a fronte di un uguale introito calorico.

Poiché una volta cotto si gonfia molto, questo cereale ha un alto potere saziante e può essere inserito nelle diete dimagranti con l’obiettivo di limitare le quantità di cibo introdotto durante i pasti.

Alcuni studi hanno recentemente messo in evidenza la capacità dei beta-glucani dell’orzo di abbassare/ridurre i livelli di colesterolo nel sangue.

Grano Saraceno

Il grano saraceno (Polygonum fagopyrum), detto anche grano nero, è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Poligonacee. Il grano saraceno possiede tutte le caratteristiche nutritive di un cereale e di un legume, pur non essendo, dal punto di vista botanico, né l’uno (non appartiene alla famiglia delle Graminacee) né l’altro (non appartiene alla famiglia delle Leguminose o Fabacee).

Il seme di grano saraceno è composto principalmente da amido, rispettivamente 25% amilosio e 75% amilopectina. L’abbondante presenza di quest’ultima lo rende facilmente digeribile. Tra gli antiossidanti presenti, ricordiamo i tannini e soprattutto la rutina, un glicoside della quercetina, che ha come pregio salutistico il rafforzamento della parete dei capillari.

I chicchi si prestano alla creazione di gustosi primi piatti, come zuppe e insalate di verdure e legumi. La farina viene utilizzata per molte ricette tradizionali della cucina italiana ed è l’ingrediente base della “polenta taragna”, la tipica polenta scura preparata con l’aggiunta di una parte di farina di mais, dei “pizzoccheri” e degli “sciatt” valtellinesi. Il grano saraceno è disponibile anche in fiocchi, perfetti nel latte per una prima colazione o nello yogurt e in germogli; le sostanze nutritive del seme aumentano sensibilmente durante il processo di germogliazione.

Segale

Considerata per secoli il pane dei poveri, la segale è un altro cereale da riscoprire. Cresce in zone montuose e si adatta perfettamente a climi freddi e a terreni poveri. Possiede carboidrati a basso indice glicemico, a basso apporto calorico e ad alto valore energetico, ricchissima di proprietà nutritive e di vitamine del gruppo B. Soprattutto per il suo alto contenuto in fibre (in quella integrale è pari a tre volte quello contenuto nella farina integrale di grano tenero), in vitamine del gruppo B, niacina, calcio, potassio, fluoro e sali minerali, la segale è consigliato come cereale da dieta.

La prossima settimana affrontiamo un teme frivolo, la cellulite.

Cereali minori e pseudocereali

Noi diamo al vitello del cibo che noi stessi potremmo mangiare. […]

Occorrono dieci chili e mezzo di proteine somministrate a un vitello per produrre soltanto mezzo chilo di proteine animali per gli umani. […]

Se mettiamo a confronto il numero totale di calorie prodotte dagli alimenti vegetali con quello riferibile agli alimenti di origine animale, il paragone è di nuovo del tutto a favore dei vegetali. […]

Se gli americani riducessero il loro consumo di carne del solo 10% per un anno, si disimpegnerebbero almeno 12 milioni di tonnellate di cereali per il consumo umano – vale a dire una quantità bastante ad alimentare 60 milioni di persone. […]

Il cibo sprecato dalla produzione animale nei paesi ricchi sarebbe sufficiente, se adeguatamente distribuito, a porre fine tanto alla fame quanto alla malnutrizione in tutto il mondo.“
Peter Singer,
libro Liberazione animale

Un piccolo vademecum di alcuni cereali minori,
dimenticati e dei cosiddetti pseudocereali.

L’avena

L’avena è uno dei sette cereali più coltivati al mondo. Ha rappresentato per decenni la base dell’alimentazione di molte popolazioni del Nord Europa. Oggi è ritornato in auge per la sua versatilità in cucina, per le sue proprietà nutritive straordinarie, ovvero alto contenuto in fibre, ricchezza in beta-glucani, e basso indice glicemico.

Ha il pregio di conservare intatti tutti i valori nutritivi dopo la brillatura, a differenza degli altri cereali, perché il germe e la crusca, aderendo alla mandorla, non vengono rimossi. Essendo senza glutine può essere tranquillamente consumato dai celiaci, a patto di acquistare prodotti a base di avena con la dicitura “senza glutine”.

Fino a pochi anni fa, il rischio di contaminazioni con il frumento era molto alto (coltivazioni contigue, trasporto e stoccaggio non diversificati). Recenti studi sostengono che nonostante l’avena contenga avenine (alcaloidi ad effetto tonificante ed energetico), simili alle prolamine del frumento, l‘assunzione di avena non porterebbe alle reazioni tipiche della celiachia a livello di mucosa intestinale. Avendo un alto potere saziante, viene prevalentemente consumata a colazione.

Dai grani si ricava il latte di avena, una bevanda vegetale leggera e digeribile, naturalmente dolce. Il latte di avena di qualità è un prodotto senza zuccheri aggiunti, perché sfrutta gli zuccheri naturali contenuti nell’avena. E’ utilizzato anche nel mondo della cosmesi per le sue proprietà lenitive e detergenti. Grazie ai beta-glucani, che formano una pellicola protettiva sia sulla pelle sia sui capelli, l‘avena protegge capelli e cute dalla aggressione degli agenti esterni.

Il bulgur

Il bulgur è un derivato del frumento integrale germogliato. Di origine orientale, consiste in una granella dorata, formata da pezzetti di grani macinati, il cosiddetto “grano spezzato”.

Occorre distinguere Il bulgur dal cous cous, o “spezzatino di grano”, che gli assomiglia per l’aspetto. Il “grano spezzato” è formato da chicchi integrali, lavorati e macinati, mentre il cous cous è un miscuglio di farina di semola di grano duro. Il prodotto con frammenti di maggiori dimensioni viene destinato a minestre e zuppe, anche come sostituto del riso. Invece il bulgur, con grani più fini, è consigliato soprattutto per: insalate, piatti freddi e come contorno, per farcire verdure o pesce.

Il kamut

Il kamut è il nome commerciale del grano Khorasan. La scelta di improntare la sua coltivazione ad un regime biologico è facilitata dalle stesse caratteristiche del grano, talmente resistente che per crescere non necessita di pesticidi e fertilizzanti chimici, essendo naturalmente immune dall’attacco dei parassiti. Vanta importanti caratteristiche nutrizionali: un elevato potere energetico, un buon quantitativo di proteine (14,7 g per 100 g) e una quantità importante di fibre (9,1 g per 100 g), vitamine e sali minerali.

Il miglio

Il miglio, dopo un lungo periodo di assenza dalle nostre tavole, è stato riscoperto negli ultimi anni, grazie al suo straordinario corredo di proprietà nutrizionali. Tra i primi cereali ad essere stato coltivato dall’uomo, ha origini asiatiche che risalgono all’epoca preistorica. Le piccole dimensioni del seme, durante la raccolta, fanno sì che lo si confonda con altri semi di piante diverse e selvatiche, allungando i tempi e complicandone la coltivazione. Questo potrebbe essere il motivo per cui in Italia , anche oggi, la sua coltivazione è molto ridotta ed esso viene utilizzato prevalentemente come mangime per pollame. Pur molto piccoli nelle dimensioni, i suoi chicchi sono ricchi di minerali come ferro, magnesio, fosforo e soprattutto silicio.

Dal gusto delicato, il miglio è molto digeribile, energizzante e privo di glutine. Una delle caratteristiche più importanti del miglio è la sua conservabilità: grazie alla presenza di fenoli nei semi, che li conserva molto a lungo mantenendo integre le loro proprietà. Pare che proprio la sua straordinaria facilità di conservazione abbia salvato Venezia nel 1374. Durante l’assedio dei Genovesi, infatti, la città poté provvedere al proprio sostentamento grazie alle enormi quantità di miglio conservate e stivate nei magazzini.

E’ considerato un cereale antistress, grazie al suo contenuto in triptofano, un aminoacido essenziale fondamentale per la produzione di serotonina, l’ormone “della felicità”. E’ disponibile prevalentemente decorticato, ovvero sottoposto ad un processo di raffinazione che lo priva di una minima parte di crusca, mantenendo intatti germe ed endosperma. L’elevato contenuto di acido silicico, in grado di stimolare la produzione di collagene e di cheratina, rende questo cereale un prodotto molto utile per la cura dei capelli, della pelle, delle unghie e dei denti.

L’amaranto

Pianta originaria del Messico, l’amaranto è considerato uno “pseudocereale”, termine che non ha valenza botanica ma si riferisce a piante della classe delle Dicotiledoni (piante il cui seme contiene due foglioline) come ad esempio quelle della quinoa e della chia. I cereali fanno invece parte del gruppo di piante monocotiledoni. Esso è sempre più frequentemente scelto come alternativa a pasta e riso grazie alla sua ricchezza in proteine nobili e di elevato valore biologico. Tra gli aminoacidi più preziosi e importanti contiene la lisina, spesso carente negli altri cereali. Tante le vitamine, tra cui spiccano quelle del gruppo B, ma è ottimo anche il livello di vitamina C e vitamina E. Con l’amaranto si possono creare nutrienti zuppe e minestre, ma anche sformati e insalate fredde con verdure. Esso, inoltre, si presta bene a fare da base per polpette e burger vegetali.

Il sorgo

Il sorgo (Sorghum vulgare) è un cereale rustico e resistente, dalle proprietà nutraceutiche molto interessanti. La prerogativa nutrizionale più interessante del sorgo è la ricchezza di fibre e l’assenza di glutine e quindi utile anche nelle diete per celiaci. Grazie ai flavonoidi contenuti nella parte più fibrosa, viene inibita la trasformazione degli amidi in zuccheri, evitando così la formazione di fermentazioni gassose e gli annessi fenomeni di flatulenza.

Fino al 1700, la polenta rossa di sorgo era un cibo molto diffuso in tutta la pianura padana, poi gradualmente soppiantata da quella gialla di granoturco. Grazie a scelte economiche e produttive più assennate, oggi è possibile disporre largamente di questo cereale molto versatile in cucina. Esso è il quinto cereale per importanza nell’economia agricola mondiale, dopo frumento, riso, mais, orzo.

La lista dei cereali verrà completata col prossimo venerdì

Che pizza

La pizza nel forno a legna la guardi mentre cuoce,
la vedi, la muovi, controlli la cottura

e la guardi mentre cresce, la accompagni…
se la metti in un forno elettrico la chiudi li dentro,
come se fosse morta.

Un pizzaiolo napoletano

Dal cassetto dei ricordi

La coda sembrava ancor più interminabile a causa delle intemperanze dello stomaco. La mano di mio padre era il porto sicuro per il mio animo di bambino che si sarebbe perso tra la folla di avventori.

La mozzarella friggeva sul letto di passata di pomodoro, nel forno alimentato a legna dal pizzaiolo panciuto in maglietta bianca con il grembiule “decorato” da impronte rosse. Sul piano di marmo, una spruzzata di farina serviva a facilitare la lavorazione, in forma di dischi di pasta schiacciata ancora da condire, dei pani lievitati.

Sotto il piano, i pani attendevano il loro turno, allineati in lunghe casse di legno. Il calore che si sprigionava dal forno era quasi un conforto nei mesi invernali, quando fuori il freddo era pungente, ma era anche un vero supplizio nelle calde sere d’agosto quando era meglio aspettare all’esterno il proprio turno.

Ma, comunque, alla fine, l’attesa veniva sempre premiata. Avvolte in un foglio di carta da pane, separate tra loro da sottili strisce di canna di bambù, fumanti e bollenti, le ricevevamo con la grazia e la trepidazione con cui si sostiene un bambino in fasce. Poi subito alla cassa per pagare e di corsa a casa per il momento tanto atteso.

Anche oggi, ogni tanto, ad occhi chiusi, immagino di camminare in un luogo in meridione , di “fare le vasche” come si suol dire in gergo. Brusio di fondo, voci che si levano su altre, colori e sonorità.

Pizza come senso della frugalità della vita.

Di per sé la pizza rappresentava un concetto ben preciso: soddisfare chi non aveva il tempo di fermarsi, una specie di fast food ante litteram, ma di tipo mediterraneo, con il senso, quindi, che si attribuisce alle pause nel meridione del nostro Paese e perciò non certo solo per fare uno stacco di 15 minuti. Pizza in una giornata di sole con il mare azzurro. Una specie di walking food, un cibo peripatetico. Senti in bocca ciò che vedi, ti fermi gustandola con calma, è un oziare ma non un perder tempo.

Pizza Margherita, non capricciosa, o diavola e non in pizzeria.

Cammini per il corso con la pizza piegata in 4, avvolta in un foglio color ambra… Parli di calcio, litighi con la ragazza, cammini, mangi, rifletti, ridi. Con aria trasognata assaporavo tutto, strada facendo. A volte, rientrando la sera a casa, mi chiedevo quale fosse il valore della giornata appena passata, se non fosse stato meglio rientrare prima a casa e dormire un po’ di più. La risposta me l’aveva già fornita l’ultimo morso di quella pizza così saporita e mangiata con così tanto gusto …………ciao Margherita, non ti dimenticherò mai.

Alta, alla napoletana, o bassa, alla romana. Semplicissima, con pomodoro e origano, o ricca di ingredienti, dall’uovo al prosciutto, alle verdure, ai frutti di mare. Cotta nel classico forno a legna o surgelata e riscaldata nel microonde. A taglio o tonda, da asporto o da consumare in vecchi locali storici con le tovaglie di carta.

Italiana per antonomasia

Tanto da conservare il proprio nome in tutto il mondo. Dall’America al Giappone, c’è un solo modo di pronunciarla: PIZZA. Nata come cibo povero, realizzabile con pochi essenziali ingredienti, oggi la pizza presenta tante e tali varianti da rappresentare un pasto completo e perfettamente equilibrato. La vera ambasciatrice di pace dell’Italia nel mondo ha una storia antica. Parte dalle focacce di farro in epoca pre-cristiana, ha attraversato epoche e continenti, ha resistito a guerre di gourmet e invasioni di cucine etniche, e ormai ha conquistato, pacificamente, tutto il mondo.

La pizza patrimonio dell’Umanità.

Per l’Unesco, “il know-how” culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, di esibirsi e condividere tutto questo è un indiscutibile patrimonio culturale.

I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale nel quale il bancone e il forno fungono da “palcoscenico”, durante il processo di produzione della pizza. È tutto questo accade in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti.

L’arte della pizza.

Fare la pizza, sostengono a Napoli, è una vera e propria arte, raffinatasi attraverso l’esperienza di tante generazioni. Una pizza fatta a dovere deve essere composta dal fondo, dal condimento e dal bordo che, secondo molti, è la parte più buona. L’autentica pizza napoletana va realizzata con un impasto a base di farina di frumento, acqua e lievito, a cui si aggiungono pomodori San Marzano, mozzarella di bufala, olio extravergine di oliva e sale marino.

La mozzarella va tagliata in piccoli pezzi e non deve essere un informe ammasso sottile e bucherellato. Il pomodoro deve avere una consistenza morbida, non troppo denso e asciutto e deve colare dalla pizza tagliata. Il profumo di basilico deve essere ben percepibile.

La consistenza della Pizza di qualità dovrebbe essere morbida ed elastica e la pizza dovrebbe essere facilmente piegabile. Il prodotto si presenta morbido al taglio e dal sapore caratteristico, sapido, derivante dal bordo, che presenta il tipico gusto del pane ben lievitato e cotto, mescolato al sapore acidulo del pomodoro e all’aroma, rispettivamente, dell’origano, dell’aglio o del basilico e al sapore della mozzarella cotta.

Cottura

La pizza deve avere una forma circolare, con bordo regolare, non rigonfio né bruciato e la parte centrale deve risultare morbida. La cottura va effettuata in un forno refrattario alimentato a legna (preferibilmente di quercia e ulivo), a una temperatura compresa fra i 420 e i 480°C. La pizza, alla fine del processo di cottura, emanerà un odore caratteristico, profumato e fragrante.

Il bordo è per me fondamentale: bello a vedersi, netto nel profumo della pasta cresciuta e della legna usata, morbido e delicato al morso. È’ stato paragonato all’atrio di una grande dimora: tutto è preannunciato, pur non mostrando nulla pienamente.

Purtroppo nella produzione di alcune pizze si rispettano poco queste regole. Può accadere che siano stati utilizzati il formaggio fuso e pomodori di non eccelsa di qualità.

Informazioni fuorvianti: le calorie della pizza.

Come già ribadito, la composizione nutritiva della pizza varia notevolmente a seconda degli ingredienti utilizzati e delle dimensioni. Quella tradizionale dovrebbe pesare, appena sfornata, poco più di due etti. In virtù di certi ancestrali ricordi, ritengo che le pizze speciali con aggiunta di wurstel, salsicce, uova, banane snaturino completamente il piatto italiano nato dalla tradizione alimentare più povera e semplice.

Se farcita con formaggi sintetici, banane, uova fritte non è più una pizza, è uno scempio. Spesso dopo aver mangiato una pizza si digerisce con una certa difficoltà o viene una forte sete. La causa di questi fastidì è in una “maturazione” insufficiente, oppure nella scarsa qualità degli ingredienti (soprattutto la farina).

Un altro elemento da considerare è l’aggiunta di miglioranti alla farina, cosa questa che permette di velocizzare la lievitazione e di accorciare i tempi di lavorazione, penalizzando però la qualità dell’impasto, con pessime ripercussioni sul gusto.

Anche la presenza di un eccesso di enzimi è negativa perché la pizza può risultare indigesta, stimolando la sete. Se la maturazione e la cottura vengono effettuate a regola d’arte, la pizza sarà più digeribile e sicuramente più saporita. L’ultimo elemento che può scatenare la sete è l’eccessiva quantità di sale usata per correggere i difetti di una scarsa maturazione, ma questo difetto si “sente” subito al palato.

La mozzarella non ha una correlazione con la sete ma gioca comunque un ruolo fondamentale nella pizza. Molte pizzerie la sostituiscono con i cosiddetti “siluri” ovvero panetti a forma di cilindro ottenuti da formaggio fuso. L’aspetto più conveniente della scelta di questo formaggio è il suo costo che, rispetto alla vera mozzarella, è dimezzato e, da un punto di vista operativo, permette di accorciare anche i tempi di lavorazione (perché non va fatta scolare). L’esito sul piano qualitativo e organolettico è, tuttavia, deludente.

Concludo sottolineando, ancora una volta, l’importanza particolare della lievitazione (più è lunga, meglio è) e della qualità delle materie prime usate.

Orbene: gustiamola con pochi condimenti (non salati) tipici della tradizione italiana e che esaltino il sapore della farina di grano di cui è fatta.

La Pizza

Fatte ‘na pizza c’a pummarola ‘ncoppa vedrai che il mondo poi ti sorriderà.
Pino Daniele

Il suono di mille clacson di auto di conducenti inviperiti con chi rallentava il traffico, fermandosi “inutilmente” al semaforo rosso, era il sottofondo di un film che si replicava ogni giorno nelle caotiche strade della città.

Il vocio confuso della gente comune, sovrastato dalle urla di istrionici proprietari di bancarelle che invitano ad acquisti favolosi nei mercatini rionali, erano i dialoghi di attori non consapevoli della commedia della vita.

Il sole rifletteva nelle vetrine dei negozi il caleidoscopio di colori delle più belle giornate di sole. Sulla soglia di alcuni negozi i commessi aspiravano il fumo dell’ennesima sigaretta in attesa di qualche cliente. Senza sensi di colpa, l’occhio allietava lo spirito al passaggio di giovani donne dai caratteri inequivocabilmente mediterranei.

Da una finestra semiaperta, nel cortile di un vecchio palazzo dove una bambina trascorreva ore spensierate a rincorrere un pallone, si diffondevano nell’aria le note di antiche canzoni popolari. I gestori delle rosticcerie che si affacciavano sul corso principale, avvolti nei loro grembiuli bianchi, riempivano di mille prelibatezze i vassoi sui loro banchetti: dorati arancini di riso con il cuore di mozzarella filante, crocchette di patate, piccoli timballi di tagliolini ai piselli e fumanti pizze margherita.

Le persone, richiamate a metà mattina dal profumo di tanta bontà, si fermavano davanti a quel ben di Dio e io, tra una spintarella ed un pestone strategico con tanto di “mi scusi”, riuscivo a fatica a farmi largo in quel branco di lupi famelici. Con grande velocità, le mani allenate di quegli artigiani del cibo riuscivano a servire tutti così ognuno si allontanava soddisfatto della propria scelta gustando, morso dopo morso, quelle bontà che avrebbero reso più piacevole la giornata.

Non Fast Food, ma Walking Food. Stile alimentare in vigore già un bel po’ di anni fa, quando le catene di ristoranti “fast food” non la facevano da padrone, quando i giochi e gli spazi aperti erano a misura di bambino e senza pericoli, quando si lavorava per vivere e non si viveva per lavorare e quando tutto sembrava avere ritmi più umani e godibili.

Simbolo di quella filosofia di vita era la pizza margherita.

Piegata in quattro, nel foglio di carta da pane color ambra, essa saziava non solo come cibo ma saziava anche di suoni, profumi e memorie di tradizioni che restano immutate con il passare del tempo, quasi impresse nel genoma, a dispetto delle mode, regalandoci quel senso di appartenenza che contribuisce a farci sentire meno soli e isolati.

Vessillo, in tutto il mondo , della tradizione gastronomica italiana, la pizza è un cibo apprezzato con entusiasmo sia dai giovani sia dagli adulti e non disdegnato dagli anziani. La domanda più frequente, quando negozio con il paziente una dieta ipocalorica, è, ( neanche fossi un prete), : “posso mangiare la pizza? E quante volte (padre)?

Dipende!

Dipende dalla quantità di energia che si introduce con il cibo e da quella che si consuma con l’attività quotidiana. Poiché tutte le diete che si rispettino devono durare a vita, fatte salve alcune situazioni particolari, tutto è permesso, purché non si ecceda.

So di ripetermi, ma il messaggio che veicolo è: “non esistono cibi che fanno ingrassare o dimagrire. Sono solo alimenti con differenti caratteristiche, con calorie differenti”. Un bravo dietologo deve sempre tener conto di questo.

Sarebbe, invece, un problema serio, durante le uscite serali con gli amici, obbligare il “paziente” ad accontentarsi di insalatine insipide mentre gli altri pasteggiano con pizze fumanti. Tra l’altro la pizza, per la convivialità che essa è in grado di creare, diventa quasi un’ancora di salvezza in un mondo che va troppo veloce, perché ci obbliga a mangiare in modo meno meccanico consentendoci così di lasciare spazio alla convivialità.

Da fast food ante litteram a slow food all’italiana, senza rinunce a genuinità, sapore e socializzazione.

La dieta deve essere anche un po’ ammiccante ed è giusto concedere un pasto libero a settimana, ma , in base alle aspettative del calo ponderale auspicato, è giusto precisare che un conto è fermarsi alla pizza, altro conto è estendere la concessione a pizza, birra, dolce, limoncello….e così via ed è altresì intuitivo che la pizza vegetariana, senza mozzarella e con poco olio (marinara), è la meno calorica in assoluto.

Un tempo la pizza era il monotono piatto dei poveri, oggi è una pietanza che delizia anche i palati più raffinati.

Il suo apporto calorico è subordinato alla quantità dell’impasto e al tipo di farcitura (meglio se di buona qualità e di parca quantità). Sarebbe poi utile privilegiare la pizzeria che non abbondi in sale e che non forzi i tempi della fermentazione dell’impasto, cause principali, queste, della sete notturna e della non perfetta digeribilità.

La grande versatilità della pizza, poi, può essere un buon espediente per consentire, anche ai più refrattari alle verdure, di apprezzarle, grigliate, in accostamento.

Tra le perizie artigianali, assieme ai requisiti come da disciplinare (qualità degli ingredienti, modalità di cottura), la “battitura” fatta a regola d’arte è il fiore all’occhiello del bravo pizzaiolo e migliora quello che, in gergo , è chiamato“ effetto snervatura”. Questa manipolazione, purché l’impasto sia corteggiato, accarezzato e non “violentato”, provoca, in modo uniforme, la fuoriuscita, verso l’esterno, dell’aria presente nell’alveolatura della massa facendo così respirare la pizza e arricchendola più facilmente dei profumi mediterranei, primi tra tutti pomodoro e basilico.

Quante calorie apporta una pizza?

Difficilissimo da calcolare, per le troppe variabili legate agli ingredienti utilizzati. Le tabelle dell’istituto nazionale delle ricerche per gli alimenti e la nutrizione indicano che 100 grammi commestibili di pizza, pomodoro e mozzarella, sviluppano 271 Kcal. Non facilmente porzionabile, la pizza tradizionale dovrebbe pesare, appena sfornata, sui 250 grammi, con un apporto calorico medio pari a 700 Kcal.

La prossima settimana completeremo l’argomento “pizza”.