IL LATTE

Le tue labbra stillano miele vergine,
o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti

è come il profumo del Libano.
(Cantico dei cantici)

Mia madre, in pantofole, da dietro la finestra, guardava giù in strada per anticipare lo scampanellio del lattaio e permettere a noi che dormivamo di riposare ancora un po’. Così, quando vedeva in lontananza la luce del piccolo “Ape” a 3 ruote, avvolgendosi lo scialle intorno alla testa, scendeva frettolosamente in strada. Il lattaio le restituiva la bottiglia appena riempita e lei gli porgeva la moneta. Poi la corsa in cucina per preparare la colazione.

Al nostro risveglio vedevamo troneggiare in cucina il bottiglione da 3 litri, di colore verde scuro, pieno di un latte denso e cremoso, che concentrava sul collo della bottiglia quasi una sorta di tappo di grasso, che la mamma faceva bollire fino a quando la bollitura non dava vita a un velo increspato sulla superficie…… la panna.

Lo bevevamo gustandone la consistenza, più fluida che liquida, che lasciava sulle labbra i classici “baffi da latte”. Ero diventato quasi un “sommelier” del latte, mi accorgevo che il gusto variava al variare delle stagioni, in relazione al tipo di foraggio con cui si nutrivano le vacche e alle erbe dei pascoli più o meno ricche di sostanze aromatiche. Ripensandoci, nei mesi caldi avvertivo un sentore di erbe di collina mentre, nei mesi invernali, il gusto diventava più asprigno perché, in quella stagione, il cibo delle mucche era il fieno secco.

Poi, con gli anni, vennero i dettami di ordine igienico-sanitario richiesti dai processi industriali: le centrali del latte, il tetrapak, svariati metodi di risanamento e l’omogeneizzazione, con la frantumazione dei globuli di grasso in particelle ancora più piccole, per dare al latte una maggiore digeribilità. Oggi, con il termine “genuino”, non possiamo più intendere il latte appena munto, a meno di non trovarci in una malga. E, allora, come valorizzare il latte senza additivo alcuno e con i suoi principi attivi salvaguardati al massimo in un regime di sicurezza igienica?

Da dietologo “liberale” so che l’alimento perfetto non esiste ma, se proprio dovessi stilare una classifica di merito dei cibi, collocherei al vertice quelli più completi, capaci cioè di assicurare i 3 nutrienti base, proteine, carboidrati e grassi, nelle proporzioni più consone a quelle che dovremmo normalmente assumere.

Innanzitutto, il latte idrata. L’acqua costituisce circa l’87% del latte e in essa sono sospese o disciolte tutta una serie di sostanze che rendono questo alimento importantissimo per l’alimentazione umana.

Ricco di proteine di elevato valore biologico, lattoalbumina e caseina, il latte è particolarmente indicato per la prima colazione dei giovani perché, dopo il digiuno notturno, è fondamentale introdurre la giusta dose di energia e di nutrienti per favorire la concentrazione e migliorare il rendimento.

Rispetto ad altri grassi di origine animale, i grassi contenuti nel latte sono più facilmente digeribili in quanto presenti in forma emulsionata, cioè frazionati in goccioline.

L’omogeneizzazione, trattamento normalmente utilizzato dall’industria per stabilizzare il globulo di grasso ed evitare il suo naturale affioramento, riduce la dimensione dei globuli aumentandone significativamente la superficie di contatto e favorendo così la funzione di vettore del globulo di grasso.

I grassi sono per due terzi di tipo saturo, con un contenuto di colesterolo ridotto (da 14 mg per il latte intero a 8 per quello parzialmente scremato e a 2 mg per quello scremato).

Tra i procedimenti opzionali sottolineerei la scrematura, trattamento effettuato per diminuire la percentuale di grassi nel latte.

Quello intero, in assoluto il più calorico (60 calorie per 100 grammi), ne ha almeno il 3,2%. Questo tipo di latte è consigliato per i bimbi da 1 a 3 anni per via del suo maggiore apporto in vitamine.

Il latte parzialmente scremato contiene grassi, in percentuale, di 1,5-1,8%, e quello magro, più centrifugato, in percentuale inferiore allo 0,3%.

Non è un alimento molto importante dal punto di vista dell’apporto vitaminico, anche se contiene discrete quantità di vitamina B2, B12 e A e, quando aggiunta, di vitamina D. La sua stabilità e conservabilità nel tempo sono questioni da affrontare quando si addiziona il latte con molecole bioattive. Alcuni studi hanno evidenziato che la vitamina D aggiunta a prodotti lattiero-caseari rimane stabile durante la lavorazione e la conservazione.

Un altro latte dietetico rinforzato molto diffuso è quello addizionato con omega 3.

Per quanto riguarda i sali minerali, il calcio è un nutriente essenziale che deve essere assunto giornalmente con gli alimenti e quello ottenuto dal latte è particolarmente facile da assorbire e da utilizzare. Altra importante sostanza nutritiva contenuta nel latte è il fosforo.

Va precisato che in quasi tutti gli alimenti di più largo consumo la quantità di fosforo è superiore alla quantità di calcio, mentre il latte e i prodotti lattiero-caseari sono fra i pochissimi cibi che contengono più calcio che fosforo e svolgono, quindi, un ruolo di riequilibrio in diete che altrimenti sarebbero rachitogene.

Non sono tuttavia da ignorare nemmeno la presenza di microelementi come zinco e selenio   

Ma il latte è un alimento essenziale per gli adulti o un alimento dannoso?

Proverò a dare una mia risposta “immodesta” dalla prossima settimana.

Pianeta Donna VIII

Il primo dovere di chi dà consigli a un uomo infermo
che segue una dieta nociva alla salute
è quello di cambiar sistema di vita;
le altre indicazioni verranno solo se
egli accetta con convinzione queste disposizioni.

(Platone)

Dieta e donne

Sulla base di quanto abbiamo detto nelle “puntate” precedenti, si può affermare che gli uomini, a parità di dieta alimentare, perdano peso più rapidamente rispetto alle donne. Merito o colpa dei diversi tipi di grasso nei due sessi.

Gli uomini, infatti, tendono ad avere una maggiore “riserva” di grasso viscerale, quello che circonda gli organi interni. Durante la dieta, la perdita di questo grasso sarebbe di beneficio al loro metabolismo, contribuendo a bruciare una maggiore quota di calorie.

Le donne, invece , hanno più grasso sottocutaneo (intorno a cosce, fianchi ecc.) importante in gravidanza ma meno “attivo” dal punto di vista metabolico. In pratica la perdita di grasso sottocutaneo non contribuisce a bruciare più calorie.

La donna deve mangiare meno

Come sintetizzato sapientemente dal professor Rossi “La donna deve mangiare di meno rispetto all’uomo. Così ha voluto la Natura!” La donna ha una minore massa magra muscolare, ha un metabolismo più basso, ha bisogno di meno cibo e accumula quindi con più facilità grasso quando ha un carico alimentare superiore al suo fabbisogno giornaliero di energia.

In passato, in tempi di penuria alimentare, la donna poteva sopravvivere con poco cibo perché doveva procreare! L’uomo poteva anche resistere fin quasi a morire di fame. Questo dono naturale fatto al genere femminile, la capacità di accumulare grasso, oggi, nella società dell’ abbondanza alimentare, si è trasformato in un danno di salute e di immagine!

La donna dei nostri tempi deve stare attenta alla dose giornaliera di carboidrati, specialmente quelli semplici, quindi no alla frutta in abbondanza, ma attenzione anche agli alimenti composti di farina (pasta, pizza, pane, biscotti, fette biscottate, prodotti da forno).

Insomma, mi ripeto, il gusto dolce è il gusto dominante nella alimentazione femminile ma è anche la strada più veloce per accumulare grasso. A voler fare della filosofia alimentare, si può ribadire che mangiare vegetariano o, al contrario, mangiare carnivoro genera comportamenti ed emozioni diverse sia nella donna sia nell’uomo.

Molte reazioni emotive e comportamentali sono generate da meccanismi biochimici cerebrali condizionati dalla serotonina e dalla dopamina. Gli alimenti con predominanza di carboidrati facilitano l’ingresso del triptofano, un aminoacido precursore della serotonina, nelle cellule cerebrali. La serotonina è un neurotrasmettitore che regola il tono dell’ umore, la distensione, una sessualità dolce ed accogliente. Invece i cibi proteici fanno entrare nelle cellule del cervello aminoacidi differenti, precursori della dopamina, un neurotrasmettitore cerebrale che genera una maggiore sensazione di forza e di aggressività. Non è casuale che gli animali erbivori siano mansueti e dolci! Gli animali carnivori sono, al contrario, più aggressivi.

A voler generalizzare, i maschi sono monotoni a tavola e sono attratti da alimenti proteici, le donne da alimenti con predominanza di carboidrati. Queste affermazioni, però, avevano più motivo di esistere in passato, molto meno nell’epoca moderna. Non è più assiomatico che gli uomini preferiscano le bistecche al sangue o non sappiano resistere ad un hamburger trasudante grasso.

Condizionamenti culturali e sociali

Questi sono diventati stereotipi e la parte più importante, oggi, è giocata dai condizionamenti culturali e sociali, spesso veicolati dall’informazione pubblicitaria. Da vari sondaggi emerge come, tuttora, il numero di uomini tra i vegetariani sia nettamente inferiore. Probabilmente più per la paura di apparire meno virili che per altre ragioni. Ma anche la pubblicità si va adeguando, al punto che, negli ultimi anni, i movimenti vegani si sono concentrati nel proporre un’ immagine di virilità tra i consumatori di verdure, cercando, ad esempio, di far apparire i cavoletti di Bruxelles cibi da veri duri. Altro che le salsicce!

Oggi, quindi, uomini e donne si distinguono negli stili dietetici soprattutto per motivi prettamente culturali.

La propensione femminile ad un’alimentazione più sana (cibi meno ricchi di grassi, consumo regolare di frutta e verdura), sembra legata ad una maggiore consapevolezza della propria salute oltre che ad una più forte motivazione al controllo del peso corporeo.

Gli uomini sono, in linea di massima, meno vincolati da standard culturali e sollecitazioni sociali e meno preoccupati, perciò, di mantenere la linea. Sono quindi meno ricettivi rispetto alle raccomandazioni nutrizionali.

In pratica, nella selezione degli alimenti, le donne sono guidate soprattutto da considerazioni di carattere dietetico e da fattori psicologici e culturali legati alla percezione del loro corpo, mentre gli uomini si comportano generalmente in un modo un po’meno razionale e critico, scegliendo i cibi in base al gusto personale o alle abitudini acquisite.

Anche la funzione attribuita al cibo e all’atto del mangiare ha un connotato di genere. Le donne sono più spesso soggette al cosiddetto “craving”, il desiderio intenso di un particolare cibo con predilezione per i cibi dolci, soprattutto in funzione antistress, ma tendono a vivere gli attacchi di fame con più sensi di colpa. Per gli uomini, invece, l’occasionale scorpacciata è spesso associata a uno stato d’animo positivo.

Più vulnerabili rispetto alle pressioni sociali, le donne hanno con il cibo un rapporto complesso e incorrono con maggiore frequenza degli uomini in disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, binge eating). Meno influenzati da obiettivi salutistici e canoni estetici, gli uomini hanno con il cibo un rapporto più disinvolto e rilassato, ma, più spesso delle donne, presentano sovrappeso, ipercolesterolemia e sindrome metabolica, e sono quindi più a rischio per le patologie connesse a queste condizioni.

A questo proposito, un ulteriore studio ha rilevato che le donne che saggiamente seguono i dettami e le regole della dieta in stile mediterraneo, e sono nella fascia della mezza età, hanno la concreta possibilità di allungare gli anni della propria vita godendo al contempo di un buono stato di salute psichica e mentale. Tutto questo consumando legumi, cereali, frutta, verdura, erbe aromatiche e di campo accompagnate da quel tesoro di prevenzione salutistica che è l’olio di oliva. Superfluo far notare come questa regola valga per tutti e a qualsiasi età. Quindi non serve andare alla ricerca di diete miracolose, basterebbe seguire la tradizione alimentare frutto della saggezza millenaria dei popoli affacciati sul mediterraneo!!!.

Sembra che questa tendenza ad aderire ai dettami della dieta mediterranea sia influenzata da variazioni ormonali, motivo questo per cui le donne sono più sensibili all’amaro durante la gravidanza e distinguono meglio l’acido e il salato. In ricerche focalizzate sul consumo di frutta, esse, rispetto agli uomini, gradiscono maggiormente quella aromatica e zuccherina come le pesche e le fragole, meno quella più acida come l’arancia.

Una ricerca dell’Università di Newcastle, ha provato perché le donne amino il colore rosa più degli uomini. Il fenomeno ha origini ancestrali: la sopravvivenza dei nostri antenati, infatti, si basava sulla caccia, affidata agli uomini, e sulla raccolta di frutti, di cui si occupavano le donne. Questo avrebbe sviluppato in loro una maggiore sensibilità per le tinte rossastre, proprie delle bacche e dei frutti maturi.

Gli uomini preferiscono avere indicazioni chiare e, una volta presa la decisione di perdere peso, sono più determinati a raggiungere l’obiettivo. In pratica resistono molto di più e vivono l’esperienza come una competizione. Per le donne è realmente difficile restare a dieta per lunghi periodi ed esse finiscono per cedere più facilmente alle tentazioni alimentari e si scoprono più indulgenti con sé stesse al riguardo.

Nella mia esperienza , una delle richieste più comuni da parte delle donne che chiedono un piano dietetico è quella di non dover preparare piatti diversi per sé stesse, ma di poter adattare la dieta al resto della famiglia.

Dalla prossima settimana affronteremo temi specifici. Conto di iniziare a parlare di prevenzione dell’osteoporosi, del latte e dei suoi derivati.

Pianeta Donna VII

Non c’è niente di più sexy di una donna che apprezza il cibo,
perché dimostra così di essere una donna libera.
(Nigella Lawson)

Provo ad approfondire alcuni aspetti che potrebbero giustificare le differenze di genere in ambito nutrizionale.

La domanda però è d’obbligo: esiste un cibo più adatto per l’uomo e uno più idoneo per la donna, ci sono alimenti preferiti da maschi e femmine, oppure queste differenze sono ascrivibili solo a stereotipi culturali e al marketing e noi tutti ne siamo vittime inconsapevoli?  E la narrazione che vede il maschio cacciatore e mangiatore di carne e la femmina raccoglitrice di frutta e verdura è il frutto di caratteristiche naturali, affinate dall’evoluzione, o è una falsa narrazione frutto di vecchi pregiudizi?

Attenendoci al presente, direi che oggi abbiamo un’alimentazione senza genere. Del resto, non occorre essere vegetariani o vegani per capire che nella società attuale si è verificato un cambio di passo generalizzato riguardo all’alimentazione. Questa cosa si può notare facilmente in una qualunque pausa pranzo al ristorante. Menu a base di insalatone, yogurt, primi piatti gluten free e frullati detox hanno soppiantato le bibite gassate, gli hamburger di carne e i panini al salame e non è certo per questo che, per esempio, viene minimamente messa in discussione la virilità del maschio che sceglie di assumere un certo tipo di cibo.

Più che la consapevolezza e le argomentazioni razionali sulle disparità di genere tra maschi e femmine, oggi sono sempre e comunque il marketing e la comunicazione a recitare un ruolo preminente. Se oggi pochi dubitano della mascolinità di un vegetariano, è perché interi scaffali dei supermercati sono approntati all’alimentazione sana e bio. Ma, a ben guardare, anche le riviste parlano quasi esclusivamente di questo tipo di percorso di benessere.

Pur tuttavia esiste ancora qualche differenza tra il cibo per uomo e quello per donna, perché, statistiche alla mano, le donne single riempiono il carrello della spesa con un 10% di verdura rispetto al 7% degli uomini single. Più che le differenze di genere, la scelta di cibo più o meno sano potrebbe dipendere da differenze sociali, età ed istruzione.

Secondo uno studio americano il “cibo spazzatura” con eccesso di grassi, bevande zuccherate e un minor consumo di frutta e verdura è un’abitudine prevalente di maschi giovani e poco istruiti e, analizzando l’alimentazione di quartieri a basso reddito, è stato rilevato come la vendita di cibi poco sani sia indotta prevalentemente dalla proliferazione di minimarket e negozi pertinenti.

Tornando alla nostra società, è una realtà, a mio parere bella, che in cucina la donna trovi il suo habitat “naturale”. L’atto del nutrire, d’altronde, è una delle propensioni che più caratterizzano la donna. Come sottolinea Licia Granello nel suo libro “Il gusto delle donne”, nutrire è un atto esclusivamente femminile. Nella lingua italiana esiste soltanto la nutrice, non il «nutore», così come c’è la balia ma non il «balio». Le donne sono sempre le vere artefici del piacere a tavola. Le donne nutrono, fanno la spesa, organizzano i pasti e riempiono le dispense, con certosina pazienza curano la qualità dei cibi, ricercando sapori antichi e sapori nuovi. Cibo. Pazienza. Atto di ricerca e condivisione.

Ma le donne hanno più gusto?

Si sostiene che le donne abbiano “gusti più delicati”, che, ad esempio, preferiscano “i vini fruttati” o che odino l’aglio. Quanto c’è di vero?

A voler essere pignoli, gusto non è sinonimo di sapore. Il sapore caratteristico di un cibo è una sensazione complessa che nasce dalla combinazione di sensazioni diverse. In effetti gusto e sapori sono molto diversi da persona a persona! Come mai? Caffè amaro o zuccherato? Cioccolato al latte o fondente? Perché alcune persone riescono a bere il caffè solo aggiungendovi due o tre cucchiaini abbondanti di zucchero, mentre altre lo bevono amaro senza batter ciglio? E perché alcuni amano il cioccolato più dolce, e altri apprezzano il fondente?

Conta molto l’atteggiamento mentale perché il gusto alimentare, indipendentemente dalle abitudini familiari e regionali, esprime anche emozioni inconsce. Ad esempio, la predilezione verso un sapore speziato di erbe aromatiche indica spesso una tendenza ad avventurarsi verso stati psicologici di una mente che cerca qualcosa di più naturale, forse anche più primitivo ed eccitante (un novello Ulisse a tavola). A sua volta, la cucina che mantiene sapori tenui dolciastri e consueti indica un bisogno di prudenza e di ricerca di sicurezza che sconsiglia l’avventura alimentare.

Alla capacità di percepire e apprezzare i gusti contribuiscono fattori sia genetici sia psicologici e ambientali. Per questo, mordendo una mela rossa, basta il suo colore a farcela sembrare ancora più gustosa e aromatica.

Il gusto, nel senso comune del termine, include anche l’olfatto. Questi aspetti sono già stati affrontati nel filone “cibo e sensi”.

Ma cosa intendiamo in genere per gusto nutrizionale e lo possiamo agganciare alla famosa frase latina. “de gustibus non est disputandum?.

Il gusto è il senso che ci permette di apprezzare il cibo e di percepire i sapori ed è essenziale per la sopravvivenza non solo dell’uomo ma della maggior parte degli animali. Ovviamente, esso influenza le scelte nutrizionali. Ad esempio, la percezione di molecole dolci permette di identificare e scegliere alimenti ricchi di energia da fornire al nostro corpo, mentre, la percezione dell’amaro è generalmente sgradevole. Questa percezione consente di identificare composti tossici e, in alcuni casi, velenosi e mortali.

Anche la percezione del sapore salato è di primaria importanza. Essa contribuisce a mantenere l’equilibrio elettrolitico del nostro organismo. Il nostro corpo perde costantemente ioni sodio (Na+) durante i processi escretori e secretori (principalmente urina e sudore) ed è proprio per queste ragioni che siamo attratti e amiamo il sale (cloruro di sodio, NaCl).

La percezione del gusto acido permette di valutare la maturazione dei frutti o la presenza di contaminazione microbica in un alimento (cosa che ci spinge a non mangiarlo) ma anche di proteggere il nostro corpo dal consumo di acidi in una concentrazione tale da danneggiare i nostri denti o il nostro sistema digestivo.

Per concludere, ricordo che uno studio danese condotto su un campione di studenti ha evidenziato che le ragazze riescono a percepire i sapori meglio dei ragazzi. I maschi avrebbero bisogno di cibi almeno il 10% più aspri e il 20% più dolci per raggiungere lo stesso livello di performance gustative delle femmine.

Mi piace concludere questo articolo sostenendo che le donne hanno più gusto degli uomini in quanto scelgono il cibo migliore per i loro figli!

La prossima settimana sottolineerò ulteriori distinguo, anche e soprattutto in merito alla mia esperienza nell’elaborare diete personalizzate di genere.

Pianeta Donna VI

“Ci sono certi sguardi di donna che
l’uomo non scambierebbe con l’intero possesso del corpo di lei.
Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido
il fulgore della prima tenerezza,
non sa la più alta delle felicità umane…”
Gabriele D’Annunzio

L’obiettivo della nutrizione di genere è tener conto delle differenze, anche anatomiche e fisiologiche, tra uomo e donna.

Un approccio che dovrebbe proporre, appunto, diete differenziate a seconda delle diverse esigenze specifiche. Una considerazione apparentemente banale, ma spesso non sufficientemente evidenziata: i fabbisogni nutrizionali andrebbero sempre calcolati in base alle misure antropometriche (peso ed altezza), all’attività lavorativa e sportiva praticate e, ovviamente, all’anagrafe ed alle condizioni di salute.

Quindi non è da tralasciare il fatto che, di norma, il peso corporeo di un uomo è maggiore e soprattutto è più rilevante la massa muscolare. Questo implica che il metabolismo basale giornaliero dell’uomo, e i relativi fabbisogni nutrizionali (calorici, proteici, vitaminici e minerali), siano più elevati.

Riguardo alle donne, invece, bisogna tener conto delle fisiologiche fluttuazioni ponderali nel corso della vita, con riferimento a eventi, sempre fisiologici, quali la gravidanza, l’allattamento e la menopausa.

Questi argomenti verranno poi trattati singolarmente e meriteranno un discorso a parte.

Altro argomento da approfondire è quello dell’osteoporosi, patologia più frequente nelle donne e che è opportuno prevenire già a partire dall’età giovanile.

Normalmente, la percentuale ideale di grasso corporeo, per una donna, si aggira intorno al 20% a fronte di una percentuale poco più che dimezzata nell’uomo (12%). Questa differenza, che risponde a basilari esigenze primordiali, è legata al ruolo della donna nella funzione riproduttiva, ovvero alla necessità di avere riserve sufficienti da utilizzare come nutrimento di scorta per il feto o il neonato in momenti “difficili”.

Questo giustificherebbe la differente risposta della donna ad alcuni farmaci. Infatti, molte molecole attive si legano facilmente ai grassi e da ciò consegue un diverso effetto dei farmaci sul corpo femminile, proprio per la presenza di una componente adiposa mediamente più elevata nel corpo femminile. Il più alto contenuto di grassi nel corpo della donna è particolarmente evidente nell’addome, nei fianchi e nelle cosce. Questo grasso “gluteofemorale” non è molto attivo metabolicamente, motivo per cui rimane ostinatamente in sede ed è difficile da eliminare.

Gli uomini, invece, oltre al vantaggio di avere un contenuto di grassi più basso e allo stesso tempo un contenuto muscolare più elevato, accumulano grasso sull’addome. Questo grasso “addominale” è altamente attivo dal punto di vista metabolico, il che significa che è facilmente eliminabile attraverso l’esercizio fisico, uno stile di vita sportivo e una giusta dieta. Questo vantaggio, però, è decisamente penalizzato da alcuni aspetti legati a una serie di rischi cardiovascolari.

Ulteriori differenze biologiche sono dovute agli organi sessuali, senza contare che anche l’equilibrio ormonale definisce il corpo maschile e femminile.

Gli uomini hanno più testosterone, le donne più estrogeni e anche maggiori fluttuazioni nell’equilibrio ormonale, che a sua volta ha un effetto diretto sull’assunzione del cibo. Soprattutto quando i livelli di estrogeni sono più bassi, ovvero nei giorni prima dell’inizio del periodo e in menopausa, il corpo reagisce con un maggiore senso di fame. L’alterato equilibrio ormonale favorisce anche la ritenzione idrica nei tessuti, con conseguente, pur leggero, aumento di peso.

L’equilibrio ormonale degli uomini non è soggetto a fluttuazioni così grandi, motivo per cui non ci sono quasi mai fasi di aumento della fame o di ritenzione idrica.

Un’altra differenza di genere è dovuta all’ormone dello stress, il cortisolo, che le donne rilasciano in maggiore quantità. Esso inibisce la costruzione muscolare e favorisce la ritenzione di grasso e potrebbe sopprimere la sensazione di sazietà attivando allo stesso tempo l’ormone della fame, la grelina. Uno stile di vita stressante porterebbe quindi a mangiare….oltre la fame.

Bisogna tuttavia precisare che l’alternarsi di fame e sazietà dipende anche da tanti altri elementi. Alcuni sono legati alla composizione del cibo (gli zuccheri ad alto effetto glicemico, ad esempio), alla densità calorica, al momento della giornata in cui lo assumiamo (mangiare la mattina è differente dal mangiare la sera), fino al “significato emotivo” che un certo cibo può avere per noi.

Più tipici dell’approccio di segnale sono elementi quali la grelina (indicatore di “stomaco vuoto”), la leptina (indice della nutrizione efficace), l’insulina/glucagone (antagonisti nella gestione degli zuccheri), la resistina e l’amilina (uno dei segnali di assuefazione agli zuccheri).

Nella donna ci sarebbe poi un’ulteriore variabile in gioco, quella indotta (per gran parte della sua vita) dall’andamento del ciclo mensile. All’interno di esso, la donna vedrebbe variare in modo considerevole il desiderio di cibo. Nel momento di maggiore prevalenza degli estrogeni si ha un certo effetto di “controllo dell’appetito”, con la possibilità che si assista ad una riduzione della quantità e della composizione del pasto. L’azione del progesterone, al contrario, spingerebbe ad aumentare l’introito nutrizionale richiedendo pasti più ricchi in termini calorici, di volume e addirittura di frequenza. A sua volta quest’effetto entrerebbe prepotentemente in gioco anche nell’influenzare tutte le altre molecole di segnale già considerate, dalla leptina alla grelina.

La prossima volta approfondiremo ulteriormente gli aspetti legati ai differenti gusti di genere e ai dati motivazionali legati alla dieta.