Vino (terza parte)

Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia,
un buon libro, un buon amico.
(Molière)


La vita è troppo breve per bere vini mediocri.
(Johann Wolfgang von Goethe)


Provo a chiosare il discorso sul vino con considerazioni, spero, di buon senso.

Come sostiene l’illustre professor Del Toma, per il dietologo cultore della materia nessun cibo è tabù. Però, allora, fatta questa premessa, essendo l’alcol un prodotto molto particolare, per non incorrere in alcun rischio, si dovrebbe evitare di consumarlo del tutto. Non sarò certo io a proporre di tornare a un nuovo Proibizionismo, ma è importante che si promuova una campagna di informazione, mirata soprattutto ai giovani che sono i più esposti a riguardo, volta a non minimizzare i rischi connessi al
consumo di alcolici e che evidenzi che non ci sono valori soglia sicuri.

Per gli adulti amanti del buon vino (reo confesso) non rimane che prendere con filosofia gli ultimi lavori della ricerca medica che suggeriscono che in materia di alcol non esiste il rischio zero, a meno di non essere astemi. Allora occorre scegliere con cura cosa bere e quanto bere, non negarsi, quindi, questa forma di piacere ma farlo tenendo ben presenti i rischi.

Sin dalle origini, il grande valore simbolico del vino ha fatto sì che il suo consumo avvenisse prevalentemente in compagnia. Nell’antica Grecia, il simposio (dal greco σύν «con» e πόσις «bevanda») indicava la riunione degli amici che, dopo la cena, si dedicavano al bere vino e al colloquiare.

Platone, fra gli altri, è una delle voci che più ci ha permesso di comprendere l’importanza del vino, nei momenti di convivialità, nell’Antica Grecia.

Il vino è sempre stato al centro delle occasioni sociali. Oggi, naturalmente, il suo consumo è molto diverso da quello di 2500 anni fa, ma non è venuto meno il senso di comunità che spesso si produce fra le persone che scelgono di bere in compagnia un buon calice. Si tratta di un elemento importante, in particolare nella nostra cultura, in grado di incidere in modo positivo sulla qualità della vita in termini di emozioni, interessi e, appunto, socialità.

Il vino non è solo un alimento importante del nostro patrimonio agroalimentare ma è anche, in dosi moderate, una componente specifica della dieta mediterranea, modello alimentare universalmente apprezzato, che considera le bevande alcoliche una parte integrante del pasto. E i nostri contadini di un tempo, magari inconsciamente, piuttosto che concentrarsi su un solo alimento o sul vino ne “‘diluivano’ l’uso adottando, nel complesso, delle sane abitudini alimentari.

Da dietologo, non amo. sottovalutare la componente edonistica del nutrirsi e concedo di bere il vino a chi piace, indipendentemente dalle virtù terapeutiche di questa bevanda, virtù probabilmente troppo infatizzate (antiossidanti quali resveratrolo, quercetina ed epicatechina). Il vino non è né una medicina né un alimento necessario alla dieta per cui ritengo imprudente raccomandare di consumarlo regolarmente solo perché ricco di antiossidanti.

Ma, perché negarlo, purché di buona qualità, a piccole dosi, ai pasti, a coloro per i quali sorseggiarlo e assaporarlo lentamente è un piacere? Ovviamente in questo caso occorre attenersi al buon senso prima ancora che alle regole. Tutti sappiamo che, in un’economia di mercato, la pubblicità è l’anima del commercio, oltre che fonte di cospicuo reddito per i mass media, ma sarebbe da irresponsabili pubblicizzare i potenziali piccoli pregi del vino (le basi scientifiche restano fragili) provando a trasformare quasi in un farmaco, una bevanda voluttuaria il cui uso non è certamente privo di pericoli, specie per chi è portato ad abusarne.

Per un adulto sano il punto è sempre il solito: nessun alimento fa bene o male in quanto tale ma a seconda della dose e di come si inserirà nel contesto alimentare dell’intera giornata. Il sodalizio dell’uomo con il vino è talmente antico e universale che non sarebbero (come nel caso delle sigarette) avvisi “terroristici” sull’ etichetta ad incrinarlo. Del resto è indiscutibile il suo ruolo di “lubrificante” sociale, capace di aiutare a rompere il ghiaccio e favorire la socialità, favorendo una sensazione di rilassamento, miglioramento dell’umore e piacere sensoriale.

Dal mio punto di vista, è molto importante far crescere la consapevolezza dei pericoli collegati al suo consumo in modo che, soprattutto chi si trovi a partecipare a occasioni sociali possa tenere comportamenti idonei.

Pertanto se si sceglie di bere una bevanda alcolica è importante avere un atteggiamento consapevole e orientato a un consumo responsabile.

Riepilogando: per gli astemi, i ragazzi, le donne in gravidanza, gli obesi, i malati di fegato o di altre patologie gravi, in particolari situazioni (il lavoro, la guida) e fasi della vita (la gravidanza) il problema non si pone: tutte queste categorie non possono e non devono bere alcolici.

Anche gli anziani sono particolarmente vulnerabili. L’organismo invecchiando diventa più sensibile all’effetto dell’alcol e fatica maggiormente a metabolizzarlo. La minore efficienza psicofisica può inoltre esporre l’individuo anziano ad un maggior rischio di infortuni e a turbe del sonno.

Chi beve di più in Italia? dal primo al terzo grafico vediamo un intensificarsi del rischio: da un comportamento a rischio alla dipendenza dall’alcol, alcune regioni italiane sono più in evidenza di altre.

Cosa significa bere responsabilmente? Premesso che non esiste un consumo di alcol sicuro per la salute, il problema sta nella definizione della dose.

Qual è la nostra capacità di reggere gli alcolici? Troppe sono le variabili: capacità individuale, peso corporeo, sesso (le donne lo sopportano meno), l’essere o meno a stomaco pieno e il tipo di bevanda consumata, tutti fattori che possono generare, a parità di grammi di alcol assunti, una ben diversa concentrazione della sostanza nel sangue. Ancora, l’alcolemia non è costante con il passare delle ore, ma presenta un picco massimo, non individuabile con precisione assoluta: in generale esso si registra 30-45
minuti dopo l’ingestione, se avvenuta a stomaco vuoto, 60-90 minuti dopo se l’assunzione è coincisa con un pasto.

Alla luce di tutte queste premesse, ritengo di non poter essere accusato di eccesso di buonismo se, in certe circostanze e a particolari soggetti, permetto 2 bicchieri di vino al giorno, se il consumatore è di sesso maschile, 1 al giorno se di sesso femminile (non mi si tacci però di maschilismo!).

La prossima settimana debutto con un nuovo filone a puntate: la scuola

Alcol e i giovani

A volte pensavo al fegato,
ma lui non parlava mai,
non diceva mai:
“Smettila, tu stai ammazzando me e io ammazzerò te!”
Se avessimo il fegato parlante
non avremmo bisogno degli Alcolisti Anonimi.
Charles Bukowski

Era lì, in bella mostra, nel mobile della Tv, e la sua elegante confezione lo distingueva in modo netto dal resto della compagnia, in verità, alquanto anonima. Non ne ricordo né il nome, né il profumo e neppure il sapore. Ma non riuscirò mai a dimenticare il suo colore, glicine, colore che da allora non sopporto.

Tutto era iniziato a casa dei miei zii di Roma. Da piccolo, infatti, prima dell’inizio della scuola, trascorrevo d’abitudine due o tre settimane di settembre da loro, nella capitale. Erano pieni di premure per me.

Zia Jolanda, la sorella di mio padre, mi viziava oltre misura e mi teneva sempre con sé, quando faceva la spesa, durante le faccende domestiche, in ogni momento della giornata.

Zio Enrico, il marito, spesso assente per lavoro, quando rientrava, per stanco che fosse, era sempre pronto a giocare con me. E non era raro uscire con lui, a tarda sera, con la sua Lancia Appia grigio scuro, per andare a prendere un gelato in centro. Era un uomo colto e pieno di interessi, prova ne erano le sue annotazioni culturali, sulla storia e sulle bellezze di Roma, ad ogni angolo di strada, vicolo o piazza che si attraversasse.

Completavano la famiglia le mie due cugine, Sara e Gloria. Con Sara, più grande, era difficile legare, mentre con Gloria, di soli due anni più giovane me, c’era molta complicità. Mi aveva fatto conoscere molti dei suoi amici nel quartiere e, dopo pranzo, andavamo spesso insieme ai giardini del rione. Ebbene, il mio incontro con quel nettare del colore del glicine avvenne proprio lì, a casa dei miei zii. L’occasione fu una cena con amici nella quale non mancò il tocco finale………il liquore.

Nettare dolcissimo. Amore al primo sorso. A noi piccoli, però, era consentito solo un piccolo assaggio. Per quella sera tutto fini lì. Ma quella bottiglia faceva su di me l’effetto del canto delle sirene su di Ulisse nel suo viaggio di ritorno a Itaca. Dopo quella occasione feci in modo di passare sempre più spesso davanti a quella bottiglia che calamitava così tanto la mia attenzione.

E, infine, un giorno che per qualche ora fui lasciato a casa da solo, accadde l’inevitabile. Ero troppo piccolo per resistere alla tentazione e così mi lasciai andare a qualche piccolo assaggio. Di certo esagerai perché, all’ improvviso, fui preso da una fortissima nausea.

Gli zii, rientrati, non riuscivano a spiegarsi come mai non avessi voglia di guardare la Tv quella sera…..Le vacanze poi finirono e la sola cosa che mi rese accettabile lasciare i miei cari parenti fu la certezza che non mi sarei più trovato di fronte a quella bottiglia del colore del glicine.

Sono passati molti anni e, ora, l’esperienza mi suggerisce di affermare che non conviene ricorrere al proibizionismo come forma di prevenzione e dissuasione dal consumo di alcol. L’ideale sarebbe cercare di educare alla salute già nell’età scolastica, adottando programmi di facile comprensione, e ricorrere a campagne di comunicazione e di sensibilizzazione al problema della alcoldipendenza.

Oltre che informare, lo scopo fondamentale è quello di far presenti i tabù sociali, alla stregua di quanto accade in Nord Europa, dove mettersi al volante dopo aver bevuto più di una birra o di un bicchiere di vino è ritenuto un atto grave, di cui vergognarsi, ed è considerato reato.

Spesso il consumo di alcol avviene fuori dai pasti. Cresce l’abuso tra i giovani che purtroppo hanno scarsa conoscenza dei rischi. E’ risaputo che l’adolescenza è un periodo di grandi sconvolgimenti ormonali, fisici ed emotivi, di passaggio dall’essere bambini al mondo degli adulti. E proprio in questo periodo della vita, per i giovani, è fondamentale essere parte di un gruppo.

Il che significa abbracciare tutte le scelte e le mode che il gruppo impone, anche quelle che poi così corrette e così sane non sono. E tra le mode, o meglio, tra le cattive abitudini diffuse in adolescenza c’è l’eccessivo consumo di alcol.

I giovani sono molto vulnerabili, sia per la loro ridotta capacità di metabolizzare l’alcol sia perché il consumo eccessivo può causare un rallentamento dello sviluppo mentale ed emotivo. Non a caso l’Oms raccomanda la totale astensione dall’ alcol fino ai 15 anni stabilendo che nessuno, in quella fascia di età, dovrebbe essere sollecitato all’uso, anche moderato, di bevande alcoliche.

Premesso che non esiste un consumo di alcol benefico, in generale, personalmente, sottolineo che i giovani sotto i 18 anni non dovrebbero bere affatto, lo stesso vale per coloro che si mettono alla guida, o assumono farmaci, e per le donne in gravidanza o in fase di allattamento.

La fascia tra i 16 e i 18 anni è probabilmente la più esposta, perché da una parte non è tutelata dalla legge come i ragazzi più giovani (sotto i 16 anni esiste il divieto di somministrazione di bevande alcoliche), dall’altra non possiede ancora in modo completo né la capacità di metabolizzare l’alcol, né la maturità necessaria per affrontare responsabilmente il consumo di bevande alcoliche.

È quindi particolarmente importante far nascere e crescere nei giovani una cultura del consumo di alcol legata ad uno stile di vita sano e corretto e a valori positivi di socialità e convivialità.

Non va tralasciato nemmeno l’aspetto dell’ambito familiare, il primo luogo di acquisizione dei giusti comportamenti. In una famiglia in cui si beva in maniera moderata, durante i pasti, o per festeggiare un’occasione particolare, i figli tenderanno più difficilmente ad associare il consumo di alcolici a comportamenti trasgressivi o scorretti e senza controllo.

Anche a casa, tra i messaggi educativi che si trasmettono ai figli, dovrebbe sempre essere presente un’adeguata conoscenza dell’alcol e delle bevande che lo contengono e la consapevolezza degli effetti negativi che un eventuale consumo inadeguato dello stesso può provocare a se stessi e agli altri.

Mi ripeto: cercare di dissuadere un adolescente dall’accostarsi all’alcol attraverso la proibizione a consumarlo è inutile e può diventare controproducente. L’età adolescenziale, infatti, è, di per se, caratterizzata dalla tendenza ad atteggiamenti critici e, più in generale, alla ribellione, oltre che dalla naturale ricerca dei propri limiti.

L’unica possibilità per tenere i giovani al riparo dal rischio dell’eccesso di consumo di alcol è quella di stimolare in loro un’adeguata consapevolezza del limite che separa l’uso dell’alcol dal suo abuso, e la conseguente capacità di comportarsi in modo corretto a riguardo.

La prossima settimana completeremo l’argomento “alcol”