Vino (terza parte)

Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia,
un buon libro, un buon amico.
(Molière)


La vita è troppo breve per bere vini mediocri.
(Johann Wolfgang von Goethe)


Provo a chiosare il discorso sul vino con considerazioni, spero, di buon senso.

Come sostiene l’illustre professor Del Toma, per il dietologo cultore della materia nessun cibo è tabù. Però, allora, fatta questa premessa, essendo l’alcol un prodotto molto particolare, per non incorrere in alcun rischio, si dovrebbe evitare di consumarlo del tutto. Non sarò certo io a proporre di tornare a un nuovo Proibizionismo, ma è importante che si promuova una campagna di informazione, mirata soprattutto ai giovani che sono i più esposti a riguardo, volta a non minimizzare i rischi connessi al
consumo di alcolici e che evidenzi che non ci sono valori soglia sicuri.

Per gli adulti amanti del buon vino (reo confesso) non rimane che prendere con filosofia gli ultimi lavori della ricerca medica che suggeriscono che in materia di alcol non esiste il rischio zero, a meno di non essere astemi. Allora occorre scegliere con cura cosa bere e quanto bere, non negarsi, quindi, questa forma di piacere ma farlo tenendo ben presenti i rischi.

Sin dalle origini, il grande valore simbolico del vino ha fatto sì che il suo consumo avvenisse prevalentemente in compagnia. Nell’antica Grecia, il simposio (dal greco σύν «con» e πόσις «bevanda») indicava la riunione degli amici che, dopo la cena, si dedicavano al bere vino e al colloquiare.

Platone, fra gli altri, è una delle voci che più ci ha permesso di comprendere l’importanza del vino, nei momenti di convivialità, nell’Antica Grecia.

Il vino è sempre stato al centro delle occasioni sociali. Oggi, naturalmente, il suo consumo è molto diverso da quello di 2500 anni fa, ma non è venuto meno il senso di comunità che spesso si produce fra le persone che scelgono di bere in compagnia un buon calice. Si tratta di un elemento importante, in particolare nella nostra cultura, in grado di incidere in modo positivo sulla qualità della vita in termini di emozioni, interessi e, appunto, socialità.

Il vino non è solo un alimento importante del nostro patrimonio agroalimentare ma è anche, in dosi moderate, una componente specifica della dieta mediterranea, modello alimentare universalmente apprezzato, che considera le bevande alcoliche una parte integrante del pasto. E i nostri contadini di un tempo, magari inconsciamente, piuttosto che concentrarsi su un solo alimento o sul vino ne “‘diluivano’ l’uso adottando, nel complesso, delle sane abitudini alimentari.

Da dietologo, non amo. sottovalutare la componente edonistica del nutrirsi e concedo di bere il vino a chi piace, indipendentemente dalle virtù terapeutiche di questa bevanda, virtù probabilmente troppo infatizzate (antiossidanti quali resveratrolo, quercetina ed epicatechina). Il vino non è né una medicina né un alimento necessario alla dieta per cui ritengo imprudente raccomandare di consumarlo regolarmente solo perché ricco di antiossidanti.

Ma, perché negarlo, purché di buona qualità, a piccole dosi, ai pasti, a coloro per i quali sorseggiarlo e assaporarlo lentamente è un piacere? Ovviamente in questo caso occorre attenersi al buon senso prima ancora che alle regole. Tutti sappiamo che, in un’economia di mercato, la pubblicità è l’anima del commercio, oltre che fonte di cospicuo reddito per i mass media, ma sarebbe da irresponsabili pubblicizzare i potenziali piccoli pregi del vino (le basi scientifiche restano fragili) provando a trasformare quasi in un farmaco, una bevanda voluttuaria il cui uso non è certamente privo di pericoli, specie per chi è portato ad abusarne.

Per un adulto sano il punto è sempre il solito: nessun alimento fa bene o male in quanto tale ma a seconda della dose e di come si inserirà nel contesto alimentare dell’intera giornata. Il sodalizio dell’uomo con il vino è talmente antico e universale che non sarebbero (come nel caso delle sigarette) avvisi “terroristici” sull’ etichetta ad incrinarlo. Del resto è indiscutibile il suo ruolo di “lubrificante” sociale, capace di aiutare a rompere il ghiaccio e favorire la socialità, favorendo una sensazione di rilassamento, miglioramento dell’umore e piacere sensoriale.

Dal mio punto di vista, è molto importante far crescere la consapevolezza dei pericoli collegati al suo consumo in modo che, soprattutto chi si trovi a partecipare a occasioni sociali possa tenere comportamenti idonei.

Pertanto se si sceglie di bere una bevanda alcolica è importante avere un atteggiamento consapevole e orientato a un consumo responsabile.

Riepilogando: per gli astemi, i ragazzi, le donne in gravidanza, gli obesi, i malati di fegato o di altre patologie gravi, in particolari situazioni (il lavoro, la guida) e fasi della vita (la gravidanza) il problema non si pone: tutte queste categorie non possono e non devono bere alcolici.

Anche gli anziani sono particolarmente vulnerabili. L’organismo invecchiando diventa più sensibile all’effetto dell’alcol e fatica maggiormente a metabolizzarlo. La minore efficienza psicofisica può inoltre esporre l’individuo anziano ad un maggior rischio di infortuni e a turbe del sonno.

Chi beve di più in Italia? dal primo al terzo grafico vediamo un intensificarsi del rischio: da un comportamento a rischio alla dipendenza dall’alcol, alcune regioni italiane sono più in evidenza di altre.

Cosa significa bere responsabilmente? Premesso che non esiste un consumo di alcol sicuro per la salute, il problema sta nella definizione della dose.

Qual è la nostra capacità di reggere gli alcolici? Troppe sono le variabili: capacità individuale, peso corporeo, sesso (le donne lo sopportano meno), l’essere o meno a stomaco pieno e il tipo di bevanda consumata, tutti fattori che possono generare, a parità di grammi di alcol assunti, una ben diversa concentrazione della sostanza nel sangue. Ancora, l’alcolemia non è costante con il passare delle ore, ma presenta un picco massimo, non individuabile con precisione assoluta: in generale esso si registra 30-45
minuti dopo l’ingestione, se avvenuta a stomaco vuoto, 60-90 minuti dopo se l’assunzione è coincisa con un pasto.

Alla luce di tutte queste premesse, ritengo di non poter essere accusato di eccesso di buonismo se, in certe circostanze e a particolari soggetti, permetto 2 bicchieri di vino al giorno, se il consumatore è di sesso maschile, 1 al giorno se di sesso femminile (non mi si tacci però di maschilismo!).

La prossima settimana debutto con un nuovo filone a puntate: la scuola

Alcol e i giovani

A volte pensavo al fegato,
ma lui non parlava mai,
non diceva mai:
“Smettila, tu stai ammazzando me e io ammazzerò te!”
Se avessimo il fegato parlante
non avremmo bisogno degli Alcolisti Anonimi.
Charles Bukowski

Era lì, in bella mostra, nel mobile della Tv, e la sua elegante confezione lo distingueva in modo netto dal resto della compagnia, in verità, alquanto anonima. Non ne ricordo né il nome, né il profumo e neppure il sapore. Ma non riuscirò mai a dimenticare il suo colore, glicine, colore che da allora non sopporto.

Tutto era iniziato a casa dei miei zii di Roma. Da piccolo, infatti, prima dell’inizio della scuola, trascorrevo d’abitudine due o tre settimane di settembre da loro, nella capitale. Erano pieni di premure per me.

Zia Jolanda, la sorella di mio padre, mi viziava oltre misura e mi teneva sempre con sé, quando faceva la spesa, durante le faccende domestiche, in ogni momento della giornata.

Zio Enrico, il marito, spesso assente per lavoro, quando rientrava, per stanco che fosse, era sempre pronto a giocare con me. E non era raro uscire con lui, a tarda sera, con la sua Lancia Appia grigio scuro, per andare a prendere un gelato in centro. Era un uomo colto e pieno di interessi, prova ne erano le sue annotazioni culturali, sulla storia e sulle bellezze di Roma, ad ogni angolo di strada, vicolo o piazza che si attraversasse.

Completavano la famiglia le mie due cugine, Sara e Gloria. Con Sara, più grande, era difficile legare, mentre con Gloria, di soli due anni più giovane me, c’era molta complicità. Mi aveva fatto conoscere molti dei suoi amici nel quartiere e, dopo pranzo, andavamo spesso insieme ai giardini del rione. Ebbene, il mio incontro con quel nettare del colore del glicine avvenne proprio lì, a casa dei miei zii. L’occasione fu una cena con amici nella quale non mancò il tocco finale………il liquore.

Nettare dolcissimo. Amore al primo sorso. A noi piccoli, però, era consentito solo un piccolo assaggio. Per quella sera tutto fini lì. Ma quella bottiglia faceva su di me l’effetto del canto delle sirene su di Ulisse nel suo viaggio di ritorno a Itaca. Dopo quella occasione feci in modo di passare sempre più spesso davanti a quella bottiglia che calamitava così tanto la mia attenzione.

E, infine, un giorno che per qualche ora fui lasciato a casa da solo, accadde l’inevitabile. Ero troppo piccolo per resistere alla tentazione e così mi lasciai andare a qualche piccolo assaggio. Di certo esagerai perché, all’ improvviso, fui preso da una fortissima nausea.

Gli zii, rientrati, non riuscivano a spiegarsi come mai non avessi voglia di guardare la Tv quella sera…..Le vacanze poi finirono e la sola cosa che mi rese accettabile lasciare i miei cari parenti fu la certezza che non mi sarei più trovato di fronte a quella bottiglia del colore del glicine.

Sono passati molti anni e, ora, l’esperienza mi suggerisce di affermare che non conviene ricorrere al proibizionismo come forma di prevenzione e dissuasione dal consumo di alcol. L’ideale sarebbe cercare di educare alla salute già nell’età scolastica, adottando programmi di facile comprensione, e ricorrere a campagne di comunicazione e di sensibilizzazione al problema della alcoldipendenza.

Oltre che informare, lo scopo fondamentale è quello di far presenti i tabù sociali, alla stregua di quanto accade in Nord Europa, dove mettersi al volante dopo aver bevuto più di una birra o di un bicchiere di vino è ritenuto un atto grave, di cui vergognarsi, ed è considerato reato.

Spesso il consumo di alcol avviene fuori dai pasti. Cresce l’abuso tra i giovani che purtroppo hanno scarsa conoscenza dei rischi. E’ risaputo che l’adolescenza è un periodo di grandi sconvolgimenti ormonali, fisici ed emotivi, di passaggio dall’essere bambini al mondo degli adulti. E proprio in questo periodo della vita, per i giovani, è fondamentale essere parte di un gruppo.

Il che significa abbracciare tutte le scelte e le mode che il gruppo impone, anche quelle che poi così corrette e così sane non sono. E tra le mode, o meglio, tra le cattive abitudini diffuse in adolescenza c’è l’eccessivo consumo di alcol.

I giovani sono molto vulnerabili, sia per la loro ridotta capacità di metabolizzare l’alcol sia perché il consumo eccessivo può causare un rallentamento dello sviluppo mentale ed emotivo. Non a caso l’Oms raccomanda la totale astensione dall’ alcol fino ai 15 anni stabilendo che nessuno, in quella fascia di età, dovrebbe essere sollecitato all’uso, anche moderato, di bevande alcoliche.

Premesso che non esiste un consumo di alcol benefico, in generale, personalmente, sottolineo che i giovani sotto i 18 anni non dovrebbero bere affatto, lo stesso vale per coloro che si mettono alla guida, o assumono farmaci, e per le donne in gravidanza o in fase di allattamento.

La fascia tra i 16 e i 18 anni è probabilmente la più esposta, perché da una parte non è tutelata dalla legge come i ragazzi più giovani (sotto i 16 anni esiste il divieto di somministrazione di bevande alcoliche), dall’altra non possiede ancora in modo completo né la capacità di metabolizzare l’alcol, né la maturità necessaria per affrontare responsabilmente il consumo di bevande alcoliche.

È quindi particolarmente importante far nascere e crescere nei giovani una cultura del consumo di alcol legata ad uno stile di vita sano e corretto e a valori positivi di socialità e convivialità.

Non va tralasciato nemmeno l’aspetto dell’ambito familiare, il primo luogo di acquisizione dei giusti comportamenti. In una famiglia in cui si beva in maniera moderata, durante i pasti, o per festeggiare un’occasione particolare, i figli tenderanno più difficilmente ad associare il consumo di alcolici a comportamenti trasgressivi o scorretti e senza controllo.

Anche a casa, tra i messaggi educativi che si trasmettono ai figli, dovrebbe sempre essere presente un’adeguata conoscenza dell’alcol e delle bevande che lo contengono e la consapevolezza degli effetti negativi che un eventuale consumo inadeguato dello stesso può provocare a se stessi e agli altri.

Mi ripeto: cercare di dissuadere un adolescente dall’accostarsi all’alcol attraverso la proibizione a consumarlo è inutile e può diventare controproducente. L’età adolescenziale, infatti, è, di per se, caratterizzata dalla tendenza ad atteggiamenti critici e, più in generale, alla ribellione, oltre che dalla naturale ricerca dei propri limiti.

L’unica possibilità per tenere i giovani al riparo dal rischio dell’eccesso di consumo di alcol è quella di stimolare in loro un’adeguata consapevolezza del limite che separa l’uso dell’alcol dal suo abuso, e la conseguente capacità di comportarsi in modo corretto a riguardo.

La prossima settimana completeremo l’argomento “alcol”

VINO

Il vino è simile all’uomo:
non si saprà mai fino a che punto
lo si può stimare o disprezzare,
amare e odiare,
né di quante azioni sublimi
o atti delittuosi è capace.

(Charles Baudelaire)

L’uomo deve al vino
il fatto di essere il solo animale
a bere senza sete.

(Plinio il Vecchio)

E alla fine Bacco trionfava. Al colmo dell’estasi, tra fiumi di vino e corpi avvinghiati in danze sfrenate, si consumavano i riti orgiastici in onore del dio pagano che gli antichi romani amavano più di ogni altro.

Così, se la letteratura classica greco-latina collega il nettare degli Dei alla sfrenatezza dei costumi e a comportamenti lascivi, la tradizione popolare più recente ci riporta l’immagine bucolica di dolci riunioni campestri, con uomini e donne in convivio, tra canti e balli, calzoni e gonne tirate sopra le ginocchia, ad alternarsi nella pigiatura delle uve ai ritmi antichi dettati dalla Natura.

E l’uomo, non più solo predatore dei beni del creato, si riconosce egli stesso parte della Natura, dispensatore di linfa vitale, alchimista in cerca della pietra filosofale non più per creare l’oro, metallo che, se pur di per se nobile, è, al tempo stesso, simbolo dell’ingordigia umana, ma alla ricerca di quell’essenza donataci da Madre Natura che trova nelle cure del contadino il suo compimento e quasi una manifestazione del divino esistere: il vino.

Il vino è esclusivamente la bevanda risultante dalla fermentazione alcolica, completa o parziale, dell’uva fresca, pigiata o non, oppure del mosto di uva.

Bevanda antichissima del bacino del Mediterraneo, veniva prescritto già da Ippocrate nel IV secolo A. C. per la cura delle ferite e come bevanda nutriente, antipiretica, purgante e diuretica. L’Italia, già ai tempi della antica Grecia, era un paese con una straordinaria vocazione alla viticoltura, al punto da essere chiamata, dai greci stessi, Enotria, ovvero terra del vino.

Il vino, soprattutto il vino rosso, è una componente fondamentale della dieta mediterranea. È un “alimento” che accompagna spesso i nostri piatti, e che ne esalta i sapori. La dieta mediterranea non è solo un preciso programma dietetico, ma un vero e proprio stile di vita! E, come detto, questo modello nutrizionale prevede anche un consumo di moderate quantità di vino durante i pasti.

E’ vero che bere vino favorisce l’obesità?

Si dice che il vino faccia ingrassare. Non è così o, non sempre e, se questo accade, il nesso tra le due cose è indiretto. Infatti le calorie introdotte con il vino vengono utilizzate per prime e di conseguenza l’organismo economizza quelle fornite dai glucidi e dai lipidi che si depositano sotto forma di grassi di riserva”.

Fatta questa premessa, è paradossale sostenere anche che accada il contrario. Quella del consumare alcolici per dimagrire è una sciocchezza che circola in rete. Altra particolarità: c’è un nesso fra le cellule nervose che regolano la fame e le bevande alcoliche.

Un grammo di alcool fornisce 7 calorie: più calorie di un grammo di zuccheri e proteine, che ne forniscono 4, e meno di un grammo di grassi che ne fornisce 9. Le calorie fornite dall’alcol non sono paragonabili a quelle degli altri nutrienti, quali zuccheri, proteine e grassi, in quanto non utilizzabili per il lavoro muscolare: l’alcol infatti impedisce l’assimilazione dello zucchero, che è la “benzina” del muscolo.

Ribadisco che un bicchiere medio di un vino che contenga, ad esempio, 12 grammi di alcol è una componente non indifferente nell’introito calorico giornaliero. È facile calcolare che un semplice bicchiere ai pasti (a pranzo e a cena) determina l’introito di oltre 5.040 chilocalorie al mese (facendo 7 kcal x12 grammi x 2 bicchieri x 30 giorni) . In alcuni casi si possono raggiungere e superare le circa 7.000 chilocalorie, che si traducono in un incremento di un chilogrammo di peso, se non smaltite con adeguato esercizio fisico.

In più, sono calorie «vuote», inutili per l’organismo, in quanto non legate a proprietà nutrienti (come nel caso di proteine, grassi e carboidrati) ed in quanto tali van dosate con cautela. Quindi, che qualcuno possa consigliare di bere per dimagrire, lascia, francamente, alquanto perplessi.

E’ risaputo che il sovrappeso si combatte con stili di vita salutari che prevedano una restrizione calorica e un incremento del dispendio energetico quale quello derivante dall’esercizio fisico. Tra l’altro, come dimostrato da svariate ricerche, più si beve, più aumenta il rischio che il passo successivo sia rappresentato da un accresciuto consumo di cibo.

Bere con moderazione, per il piacere che la cosa comporta, è una cosa fine a se stessa. Ritenere o, peggio, sostenere che giovi alla salute, dimenticando i tanti problemi causati dall’alcol, non favorisce le scelte ponderate che la scienza ha il coraggio di incoraggiare riguardo al suo consumo.

Tutti sappiamo che mangiare o bere qualcosa di gradito crea nell’ organismo una sensazione e che, proprio nel caso del vino, il suo consumo, abbinato a certi alimenti e piatti, esalta il sapore di questi ultimi. E’ una sensazione dovuta al rilascio di endorfine nel nostro organismo. Le endorfine ci rilassano e, nel caso di un pasto, accrescono la sensazione del piacere conviviale.

Per tutto quanto ho detto fin qui, va dunque precisato che il consumo di alcol non dovrebbe mai essere promosso come un modo per migliorare la salute, dato che gli effetti dannosi sono parecchi appena si ecceda la dose ridotta consentita. Quelli che vengono ritenuti i suoi effetti benefici (resveratrolo) se consumato in dosi moderate possono essere facilmente vanificati e, al contrario, comportare rischi per la salute in caso di consumo eccessivo.

E dopo questo Cin-Cin riprenderemo l’argomento la prossima settimana.

La vendemmia

Sono i giorni più belli dell’anno.
Vendemmiare, sfogliare,
torchiare non sono neanche lavori;
caldo non fa più, freddo non ancora;
c’è qualche nuvola chiara,
si mangia il coniglio con la polenta
e si va per funghi.

Cesare Pavese

Quando è tempo di vendemmia,
ti aiutano zii e nipoti.
Quando è tempo di pulizia e potatura,
non si vedono né zii né nipoti.

Proverbio calabrese

Ebbene sì, lo ammetto. Anch’io ho vendemmiato ai tempi della mia fanciullezza!

Ricordo la terra rossa della mia amata Puglia e mi incanto a rivivere quei vecchi ricordi e quei tempi in cui eravamo felici senza saperlo! Quante memorie! Tanta fatica e tanto amore.

E le frise col pomodoro durante la breve pausa….tutte cose che mi fanno pensare a come ci si sia allontanati dalle vecchie e buone abitudini di una volta.

I contadini ci insegnavano che l’alzarsi presto, all’alba, era salutare per la mente. Facevano un’abbondante colazione (ora si sa che in questo modo i carboidrati si smaltiscono prima e danno più energia) e la frugalità del loro pasto non appesantiva lo stomaco in previsione del lavoro.

Era il momento del cambio di stagione e l’allegria dell’estate si trasferiva nelle campagne per la vendemmia. Il frutto della fatica di un intero anno era finalmente maturo per essere raccolto e trasformato in mosto.

Chi non ha, tra i propri ricordi di bambino, quello della gioia che si respirava nei campi in quei giorni di fine estate? Chi non rivive, passando accanto ai filari, scrigni di una ricchezza antica come l’uomo, i riti iniziatici della raccolta dell’uva e della sua trasformazione in vino?

Oggi l’alchimia tradizionale del contadino si è trasformata in vinificazione scientifica, fatta di strumenti di precisione e tecnologie del freddo. Ma la magia resta immutata.

La vendemmia, l’atto sublime della raccolta del frutto dopo tanta cura: un momento di comunione di intenti, l’occasione per ritrovarsi, un lavoro corale che termina con una festa a cui tutti partecipano.

Quante emozioni e quanto entusiasmo, quanta soddisfazione! Quanta felicità quando iniziava la vendemmia ! Ricordo i detti ricchi di saggezza popolare: se l’estate era stata asciutta, calda e poco piovosa, la vendemmia iniziava già verso la fine di agosto, mentre veniva spostata verso la metà di settembre se era stata più umida e fresca.

Per dirla col poeta…..: “Ma per le vie del borgo tra il ribollir dei tini va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar...”. San Martino di Giosuè Carducci ci riporta al momento conclusivo della vendemmia, quando l’impegno di un intero anno si completava in pochi giorni di faticoso lavoro che vedeva tutti coinvolti, ognuno con un suo compito particolare. Momento di massima espressione della laboriosità dei contadini a degno coronamento di un lungo, faticoso e paziente lavoro nei campi. Era una festa dal fascino unico, incorniciata da danze e baldorie.

Ricordo con il cuore pieno di nostalgia, e ignaro della confusione della vita di oggi, quel contatto così particolare con la natura con i tralci che brillavano sotto il cielo autunnale. Si percorrevano i filari tagliando via i grappoli alla base, tutto accadeva in allegria e la natura pareva condividere questo stato d’animo regalando stupende giornate di sole. Era senza dubbio, nella vita contadina, il momento di maggiore coralità, perché le persone impegnate nella raccolta erano tantissime.

Al tramonto tornavano in paese trascinando carrelli colmi di grappoli e, finita la raccolta, tutta l’uva veniva portata nelle cantine attrezzate per la successiva lavorazione che iniziava con la pigiatura. Le chiacchiere di paese avevano trovato per qualche giorno uno spazio privilegiato sotto i filari. La tradizione della vendemmia manuale si conserva ancora oggi, nonostante l’avvento della meccanizzazione.

In teoria dovrebbe assicurare una migliore qualità del prodotto, specialmente quando si seguono scrupolosamente i consigli del passato, ad esempio di effettuarla in due-tre tempi, per raccogliere solo i grappoli veramente maturi e, al loro interno, solo gli acini di un grappolo con determinate caratteristiche.

Si partiva di buon mattino con forbici, secchi, recipienti vari. L’aria era fresca. I pampini delle viti, coperti di rugiada, davano fastidio sulle gambe nude. Spesso le trame dei ragni, tese da una vite all’altra, si appiccicavano al viso. I più anziani, con un cappello di paglia a falda larga per difendersi dal sole, controllavano con severità che nessuno schiacciasse gli acini! Qualche volta incutevano un po’ di timore e, a noi profani, apparivano sempre un po’ troppo zelanti.

Pensandoci ora, capisco le ragioni di questa “sorveglianza”: una delle maggiori attenzioni che si deve avere durante la vendemmia è infatti quella di portare in cantina uve integre, senza chicchi spaccati o schiacciati. Questo perché appena un chicco si rompe, specialmente se la stagione è calda, iniziano dei processi fermentativi in un ambiente inadatto (carrello da vendemmia) che creeranno dei problemi al momento della vinificazione vera e propria.

Ogni ruolo era ben definito: le donne, soprattutto le più anziane, con il capo coperto da un ampio fazzoletto, rallegravano la vendemmia con i loro canti. E riempivano i cesti che poi gli uomini svuotavano in recipienti più grandi da trasportare a spalle sui carri.

Le casse piene venivano poi trasferite al palmento di fiducia. Ricordo i volti degli uomini, rossi per il vino e per il caldo, ma quanta allegria per il lavoro portato a termine, e anche quanta fatica traspariva dai loro visi abbronzati.

La giornata giungeva al termine e, nonostante la stanchezza, sembrava che non ne avessero abbastanza e che si fermassero di malavoglia. Nel palmento l’uva veniva pigiata da decine di piedi prima della messa a dimora per la fermentazione e il giorno successivo il resto dell’uva pigiata veniva pressata dentro i torchi. Una volta completata la seconda spremitura, la pasta residua, ormai secca, ma preziosa per le sue proprietà fertilizzanti, veniva sparsa sui campi.

La pigiatura era a volte anche un premio che gli adulti concedevano a noi piccoli, soprattutto la sera, quando l’odore vellutato e asprigno dell’uva si spargeva per tutto il paese e il poter “ballare” sull’uva era per noi bambini motivo di festa e di divertimento.

Perfino le ragazze si lasciavano convincere a pigiare l’uva nei tini a piedi nudi, perché i vecchi dicevano che “il vino fa le gambe belle”.

La prossima settimana assaggeremo il vino.