VINO

Il vino è simile all’uomo:
non si saprà mai fino a che punto
lo si può stimare o disprezzare,
amare e odiare,
né di quante azioni sublimi
o atti delittuosi è capace.

(Charles Baudelaire)

L’uomo deve al vino
il fatto di essere il solo animale
a bere senza sete.

(Plinio il Vecchio)

E alla fine Bacco trionfava. Al colmo dell’estasi, tra fiumi di vino e corpi avvinghiati in danze sfrenate, si consumavano i riti orgiastici in onore del dio pagano che gli antichi romani amavano più di ogni altro.

Così, se la letteratura classica greco-latina collega il nettare degli Dei alla sfrenatezza dei costumi e a comportamenti lascivi, la tradizione popolare più recente ci riporta l’immagine bucolica di dolci riunioni campestri, con uomini e donne in convivio, tra canti e balli, calzoni e gonne tirate sopra le ginocchia, ad alternarsi nella pigiatura delle uve ai ritmi antichi dettati dalla Natura.

E l’uomo, non più solo predatore dei beni del creato, si riconosce egli stesso parte della Natura, dispensatore di linfa vitale, alchimista in cerca della pietra filosofale non più per creare l’oro, metallo che, se pur di per se nobile, è, al tempo stesso, simbolo dell’ingordigia umana, ma alla ricerca di quell’essenza donataci da Madre Natura che trova nelle cure del contadino il suo compimento e quasi una manifestazione del divino esistere: il vino.

Il vino è esclusivamente la bevanda risultante dalla fermentazione alcolica, completa o parziale, dell’uva fresca, pigiata o non, oppure del mosto di uva.

Bevanda antichissima del bacino del Mediterraneo, veniva prescritto già da Ippocrate nel IV secolo A. C. per la cura delle ferite e come bevanda nutriente, antipiretica, purgante e diuretica. L’Italia, già ai tempi della antica Grecia, era un paese con una straordinaria vocazione alla viticoltura, al punto da essere chiamata, dai greci stessi, Enotria, ovvero terra del vino.

Il vino, soprattutto il vino rosso, è una componente fondamentale della dieta mediterranea. È un “alimento” che accompagna spesso i nostri piatti, e che ne esalta i sapori. La dieta mediterranea non è solo un preciso programma dietetico, ma un vero e proprio stile di vita! E, come detto, questo modello nutrizionale prevede anche un consumo di moderate quantità di vino durante i pasti.

E’ vero che bere vino favorisce l’obesità?

Si dice che il vino faccia ingrassare. Non è così o, non sempre e, se questo accade, il nesso tra le due cose è indiretto. Infatti le calorie introdotte con il vino vengono utilizzate per prime e di conseguenza l’organismo economizza quelle fornite dai glucidi e dai lipidi che si depositano sotto forma di grassi di riserva”.

Fatta questa premessa, è paradossale sostenere anche che accada il contrario. Quella del consumare alcolici per dimagrire è una sciocchezza che circola in rete. Altra particolarità: c’è un nesso fra le cellule nervose che regolano la fame e le bevande alcoliche.

Un grammo di alcool fornisce 7 calorie: più calorie di un grammo di zuccheri e proteine, che ne forniscono 4, e meno di un grammo di grassi che ne fornisce 9. Le calorie fornite dall’alcol non sono paragonabili a quelle degli altri nutrienti, quali zuccheri, proteine e grassi, in quanto non utilizzabili per il lavoro muscolare: l’alcol infatti impedisce l’assimilazione dello zucchero, che è la “benzina” del muscolo.

Ribadisco che un bicchiere medio di un vino che contenga, ad esempio, 12 grammi di alcol è una componente non indifferente nell’introito calorico giornaliero. È facile calcolare che un semplice bicchiere ai pasti (a pranzo e a cena) determina l’introito di oltre 5.040 chilocalorie al mese (facendo 7 kcal x12 grammi x 2 bicchieri x 30 giorni) . In alcuni casi si possono raggiungere e superare le circa 7.000 chilocalorie, che si traducono in un incremento di un chilogrammo di peso, se non smaltite con adeguato esercizio fisico.

In più, sono calorie «vuote», inutili per l’organismo, in quanto non legate a proprietà nutrienti (come nel caso di proteine, grassi e carboidrati) ed in quanto tali van dosate con cautela. Quindi, che qualcuno possa consigliare di bere per dimagrire, lascia, francamente, alquanto perplessi.

E’ risaputo che il sovrappeso si combatte con stili di vita salutari che prevedano una restrizione calorica e un incremento del dispendio energetico quale quello derivante dall’esercizio fisico. Tra l’altro, come dimostrato da svariate ricerche, più si beve, più aumenta il rischio che il passo successivo sia rappresentato da un accresciuto consumo di cibo.

Bere con moderazione, per il piacere che la cosa comporta, è una cosa fine a se stessa. Ritenere o, peggio, sostenere che giovi alla salute, dimenticando i tanti problemi causati dall’alcol, non favorisce le scelte ponderate che la scienza ha il coraggio di incoraggiare riguardo al suo consumo.

Tutti sappiamo che mangiare o bere qualcosa di gradito crea nell’ organismo una sensazione e che, proprio nel caso del vino, il suo consumo, abbinato a certi alimenti e piatti, esalta il sapore di questi ultimi. E’ una sensazione dovuta al rilascio di endorfine nel nostro organismo. Le endorfine ci rilassano e, nel caso di un pasto, accrescono la sensazione del piacere conviviale.

Per tutto quanto ho detto fin qui, va dunque precisato che il consumo di alcol non dovrebbe mai essere promosso come un modo per migliorare la salute, dato che gli effetti dannosi sono parecchi appena si ecceda la dose ridotta consentita. Quelli che vengono ritenuti i suoi effetti benefici (resveratrolo) se consumato in dosi moderate possono essere facilmente vanificati e, al contrario, comportare rischi per la salute in caso di consumo eccessivo.

E dopo questo Cin-Cin riprenderemo l’argomento la prossima settimana.

La vendemmia

Sono i giorni più belli dell’anno.
Vendemmiare, sfogliare,
torchiare non sono neanche lavori;
caldo non fa più, freddo non ancora;
c’è qualche nuvola chiara,
si mangia il coniglio con la polenta
e si va per funghi.

Cesare Pavese

Quando è tempo di vendemmia,
ti aiutano zii e nipoti.
Quando è tempo di pulizia e potatura,
non si vedono né zii né nipoti.

Proverbio calabrese

Ebbene sì, lo ammetto. Anch’io ho vendemmiato ai tempi della mia fanciullezza!

Ricordo la terra rossa della mia amata Puglia e mi incanto a rivivere quei vecchi ricordi e quei tempi in cui eravamo felici senza saperlo! Quante memorie! Tanta fatica e tanto amore.

E le frise col pomodoro durante la breve pausa….tutte cose che mi fanno pensare a come ci si sia allontanati dalle vecchie e buone abitudini di una volta.

I contadini ci insegnavano che l’alzarsi presto, all’alba, era salutare per la mente. Facevano un’abbondante colazione (ora si sa che in questo modo i carboidrati si smaltiscono prima e danno più energia) e la frugalità del loro pasto non appesantiva lo stomaco in previsione del lavoro.

Era il momento del cambio di stagione e l’allegria dell’estate si trasferiva nelle campagne per la vendemmia. Il frutto della fatica di un intero anno era finalmente maturo per essere raccolto e trasformato in mosto.

Chi non ha, tra i propri ricordi di bambino, quello della gioia che si respirava nei campi in quei giorni di fine estate? Chi non rivive, passando accanto ai filari, scrigni di una ricchezza antica come l’uomo, i riti iniziatici della raccolta dell’uva e della sua trasformazione in vino?

Oggi l’alchimia tradizionale del contadino si è trasformata in vinificazione scientifica, fatta di strumenti di precisione e tecnologie del freddo. Ma la magia resta immutata.

La vendemmia, l’atto sublime della raccolta del frutto dopo tanta cura: un momento di comunione di intenti, l’occasione per ritrovarsi, un lavoro corale che termina con una festa a cui tutti partecipano.

Quante emozioni e quanto entusiasmo, quanta soddisfazione! Quanta felicità quando iniziava la vendemmia ! Ricordo i detti ricchi di saggezza popolare: se l’estate era stata asciutta, calda e poco piovosa, la vendemmia iniziava già verso la fine di agosto, mentre veniva spostata verso la metà di settembre se era stata più umida e fresca.

Per dirla col poeta…..: “Ma per le vie del borgo tra il ribollir dei tini va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar...”. San Martino di Giosuè Carducci ci riporta al momento conclusivo della vendemmia, quando l’impegno di un intero anno si completava in pochi giorni di faticoso lavoro che vedeva tutti coinvolti, ognuno con un suo compito particolare. Momento di massima espressione della laboriosità dei contadini a degno coronamento di un lungo, faticoso e paziente lavoro nei campi. Era una festa dal fascino unico, incorniciata da danze e baldorie.

Ricordo con il cuore pieno di nostalgia, e ignaro della confusione della vita di oggi, quel contatto così particolare con la natura con i tralci che brillavano sotto il cielo autunnale. Si percorrevano i filari tagliando via i grappoli alla base, tutto accadeva in allegria e la natura pareva condividere questo stato d’animo regalando stupende giornate di sole. Era senza dubbio, nella vita contadina, il momento di maggiore coralità, perché le persone impegnate nella raccolta erano tantissime.

Al tramonto tornavano in paese trascinando carrelli colmi di grappoli e, finita la raccolta, tutta l’uva veniva portata nelle cantine attrezzate per la successiva lavorazione che iniziava con la pigiatura. Le chiacchiere di paese avevano trovato per qualche giorno uno spazio privilegiato sotto i filari. La tradizione della vendemmia manuale si conserva ancora oggi, nonostante l’avvento della meccanizzazione.

In teoria dovrebbe assicurare una migliore qualità del prodotto, specialmente quando si seguono scrupolosamente i consigli del passato, ad esempio di effettuarla in due-tre tempi, per raccogliere solo i grappoli veramente maturi e, al loro interno, solo gli acini di un grappolo con determinate caratteristiche.

Si partiva di buon mattino con forbici, secchi, recipienti vari. L’aria era fresca. I pampini delle viti, coperti di rugiada, davano fastidio sulle gambe nude. Spesso le trame dei ragni, tese da una vite all’altra, si appiccicavano al viso. I più anziani, con un cappello di paglia a falda larga per difendersi dal sole, controllavano con severità che nessuno schiacciasse gli acini! Qualche volta incutevano un po’ di timore e, a noi profani, apparivano sempre un po’ troppo zelanti.

Pensandoci ora, capisco le ragioni di questa “sorveglianza”: una delle maggiori attenzioni che si deve avere durante la vendemmia è infatti quella di portare in cantina uve integre, senza chicchi spaccati o schiacciati. Questo perché appena un chicco si rompe, specialmente se la stagione è calda, iniziano dei processi fermentativi in un ambiente inadatto (carrello da vendemmia) che creeranno dei problemi al momento della vinificazione vera e propria.

Ogni ruolo era ben definito: le donne, soprattutto le più anziane, con il capo coperto da un ampio fazzoletto, rallegravano la vendemmia con i loro canti. E riempivano i cesti che poi gli uomini svuotavano in recipienti più grandi da trasportare a spalle sui carri.

Le casse piene venivano poi trasferite al palmento di fiducia. Ricordo i volti degli uomini, rossi per il vino e per il caldo, ma quanta allegria per il lavoro portato a termine, e anche quanta fatica traspariva dai loro visi abbronzati.

La giornata giungeva al termine e, nonostante la stanchezza, sembrava che non ne avessero abbastanza e che si fermassero di malavoglia. Nel palmento l’uva veniva pigiata da decine di piedi prima della messa a dimora per la fermentazione e il giorno successivo il resto dell’uva pigiata veniva pressata dentro i torchi. Una volta completata la seconda spremitura, la pasta residua, ormai secca, ma preziosa per le sue proprietà fertilizzanti, veniva sparsa sui campi.

La pigiatura era a volte anche un premio che gli adulti concedevano a noi piccoli, soprattutto la sera, quando l’odore vellutato e asprigno dell’uva si spargeva per tutto il paese e il poter “ballare” sull’uva era per noi bambini motivo di festa e di divertimento.

Perfino le ragazze si lasciavano convincere a pigiare l’uva nei tini a piedi nudi, perché i vecchi dicevano che “il vino fa le gambe belle”.

La prossima settimana assaggeremo il vino.