Sentivo la maglietta della salute appiccicata addosso. Rivoli di sudore mi scorrevano lungo la schiena. Il viso era infuocato. I capelli stavano incollati sulla fronte come se li avessi impiastrati con manciate di gel.
Nelle orecchie dei presenti riecheggiavano ancora le grida festanti di noi piccoli. Tutti cugini: tra risate, spintoni, silenziose alleanze e lamentele sussurrate tra le braccia confortevoli della mamma, ci sfrenavamo in corse e giochi inventati all’ultimo momento, nell’ampio salone della casa dei nonni.
A nulla erano valse le raccomandazioni che la mamma mi aveva fatto poco prima che partissimo da casa, quando mi aveva vestito di tutto punto, con le scarpe “buone” e i calzini bianchi della domenica. Mi aveva ben coperto con la sciarpa ed il berretto di lana fatta a mano, che pizzicavano il collo e la fronte creandomi un fastidioso prurito che terminava solo una volta giunti alla meta.
Ora sedevo. Sfinito dalle corse e dai giochi, accanto a mia madre, attorno all’enorme tavolo preparato per l’occasione dalla nonna con la tovaglia di lino, quella “ereditata”. Avrei preferito di più un bel letto che pensare a mangiare. Iniziava la cena. Lo sguardo attento di mia madre mi evitava di fare errori di etichetta e affettuosi sorrisi incoraggiavano il mio atteggiamento da bravo ometto.
I piatti si susseguivano. Tortellini in brodo di gallina, cicoria in brodo, gallina lessa, polpette al pomodoro, baccalà fritto, insalata di rinforzo ed altro, che faceva tradizione e che non ricordo più. A un certo punto la maggior parte degli adulti si slacciava le cinture per dar respiro alle pance. Si tirava a far tardi, ma per noi piccoli era una fatica reggere i tempi dei genitori.
L’occhio diventava piccino e tendeva a chiudersi in una fessura impercettibile. Ma dovevo resistere, perché ancora non era arrivato il pezzo forte della serata: all’improvviso si spegnevano le luci e, nel silenzio, il tremolio delle candele con i loro fiochi barlumi annunciava il momento tanto atteso.
Come d’incanto il sonno svaniva. Eravamo tutti con lo sguardo attento rivolto alla porta. Un “oh” di stupore accompagnava l’ingresso di quella meraviglia che presto sarebbe stata fatta a fette. Ma io aspettavo qualcos’altro. Le bollicine.
Mi incuriosiva quel continuo generarsi di miriadi di perle d’aria che dal fondo del bicchiere salivano verso l’alto. Come poteva essere? Alla fine, dopo essermi inutilmente spremuto le meningi senza essere riuscito a darmi una risposta esauriente, concludevo che forse era meglio assaggiare quella meraviglia, piuttosto che guardarla. Ah, che buono lo spumante.
A quei tempi non sapevo ci fosse un distinguo tra spumante, prosecco e champagne. Per me era il vino delle bollicine, delle feste, degli anniversari, dei momenti speciali. L’anticipazione dei botti di capodanno.
Oggi rappresenta anche un momento di promesse non dette che sgorgano nell’intimità del brindisi e nella complicità degli sguardi. L’attimo fugace per scambiarsi un impegno, davanti a un calice scintillante.
La stretta di mano simulata dal congiunto tintinnio dei bicchieri. Il timore dello sguardo dissimulato dietro il cristallo velato d’effervescenza. Le esitazioni vaporizzate nel sapore delle bollicine.
Suggello raffinato di tutte le feste. A chi tirare il collo? Prosecco o champagne?
Entrambi sono spumanti, ovvero vini che presentano una pressione superiore almeno a 3 bar. Tuttavia le differenze sono tantissime: hanno in comune praticamente solo le bollicine. Diversa è l’area geografica, i metodi di vinificazione, l’uvaggio, i tempi di conservazione e produzione.
Il blasonato champagne è più evocativo per certi eventi e sarebbe provinciale e ingiusto non ammetterne la supremazia. Prodotto seguendo rigide norme, proviene da un territorio poco esteso, a circa 150 Km da Parigi. Si avvale solo di uve molto acide da vitigni di Pinot bianco e nero e Chardonnay. Affinché si formino le bollicine occorre che il vino fermenti due volte. Nello champagne la seconda fermentazione avviene nella bottiglia (metodo Champenoise).
Lo spumante è una categoria allargata, comprensiva di tutte le tipologie di vini spumantizzati, compreso lo spumante Prosecco. Le nostre zone di produzione sono più estese (per lo più Franciacorta, Trentino, Veneto, Piemonte) e si utilizzano uve di moscato, verdicchio, prosecco.
La seconda fermentazione può avvenire in bottiglia (metodo classico) o nei tini (metodo Charmat). Meno dispendioso, lo spumante offre valide alternative grazie a prodotti di qualità ed eleganti.
Al riguardo prestare attenzione alle indicazioni presenti in etichetta: DOC (Denominazione di Origine Controllata). DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), VCPRD (Vino di Qualità Prodotto in Regioni Determinate). Depone per uno Spumante di qualità: il metodo classico, la data di sboccatura, l’indicazione dell’annata, la fermentazione naturale (senza aggiunta di gas).
Il valore energetico del vino correla con il suo grado alcolico e con il contenuto di zucchero (un conto è extra brut, un altro è dry) e non col colore. Più facile comunque trovare vini dolci tra i bianchi.
Motivo di orgoglio: le colline del prosecco sono diventate patrimonio mondiale dell’umanità.
Buona regola: non servirli troppo freddi e, che si tratti di champagne o spumante, mai eccedere con la quantità.
Dato il periodo, sforziamoci di essere meno pignoli e più elastici. Non ci si soffermerà sulla perfezione della temperatura ideale né su eventuali cadute di stile nel frangente “brindisi” di fine anno: sui tipi di bicchieri (flûte, coppa, tulipano); sul modo di impugnare il bicchiere, sulla maniera in cui si versa il vino; sulla modalità di apertura della bottiglia, che dovrebbe essere accompagnata da un “sospiro” e non certo da un non raffinato botto che rovinerebbe l’aspetto e la persistenza della spuma o perlage.
La prima regola del galateo è “non far sentire nessuno inadeguato”. Sappiate che non si brinda mai a bicchiere vuoto, mai solo alla “propria salute” e, ovviamente, mai con l’acqua.
Nell’augurarvi un buon anno nuovo, prosit!