CIBO EVOCATIVO

Noi uomini non ci nutriamo l’un l’altro
semplicemente per mangiare e bere,
ma per mangiare e bere insieme”
(Plutarco, Dispute conviviali)

Detesto l’uomo che inghiotte il cibo
senza sapere che cosa mangia.
Dubito del suo gusto in cose più importanti”
(C. Lamb)

Tutte le specie animali, e non solo gli uomini, sin dall’antichità, si sono rapportate alla natura guidate dal “principio di sopravvivenza”. Non vi era alternativa: “Mangiare o essere mangiati”. Questa necessità di mangiare e al contempo di cercare di non essere mangiati, indusse i nostri antenati a elaborare, più o meno consciamente, interventi sempre più articolati sulla Natura.

La nostra è l’unica specie animale a trasformare il nutrimento, che la Natura fornisce allo stato grezzo, attraverso processi chimici e fisici ma anche tecnici e culturali. La mitologia greca ci narra che dopo che Prometeo rubò il fuoco agli dei, ci fu il processo di trasformazione dei cibi con la cottura.

Ciò permise all’umanità di elevarsi da uno stato animale, in cui mangiava cibo crudo, alla civiltà, perché poteva cuocerlo e di evolversi, per dirla alla Levi-Strauss, dalla natura alla cultura. L’uomo passò così dalla raccolta di frutti, radici, tuberi e semi selvatici, tipica delle popolazioni dei pastori nomadi, alla selezione di piante che si prestavano alla coltivazione.

Da tempo immemorabile il cibo non identifica soltanto un bisogno primario legato alla pura sopravvivenza del corpo, ma si riveste di connessioni e significati che fanno da ponte tra psiche e corpo, tra spirituale e materiale.

Argomentare di cibo in modo diffuso è di certo avvincente.

Chi non conosce l’aforisma di L. Feuerbach, 1862: “L’uomo è ciò che mangia”? Ma è anche vero, per citare M. Montanari, che “L’uomo è ciò che mangia, ma l’uomo mangia ciò che è, ossia alimenti che siano specchio della sua cultura”.

Ah, se solo facessimo un minimo di attenzione: quando mangiamo, indipendentemente da ciò che mettiamo nel piatto, non introduciamo nel nostro corpo solo calorie, proteine, carboidrati, lipidi, vitamine, minerali.

Dentro c’è molto di più

Dentro il nostro cibo c’è molto di più: significati simbolici, emozioni e relazioni che viaggiano nascoste ad un certo personale livello di coscienza.

Il nutrimento è sicuramente uno dei nostri primi linguaggi non verbali e rappresenta una necessità vitale; il latte materno (che idealmente appaga e gratifica, porta piacere e rilassa) soddisfa i bisogni di sopravvivenza del corpo ma, nel contempo, ci consente di entrare in relazione con le emozioni trasmesse dalla madre che spaziano dall’affetto alla sicurezza, dalla comprensione o dalla stanchezza all’ansia e al nervosismo.

Anche oggi, non più lattanti, ciò che mangiamo ci riporta alla prima relazione affettiva importante e ci rimanda, simbolicamente, alla qualità di quell’amore. Ecco perché il modo in cui il cibo viene pensato, il tipo di ingredienti utilizzati, l’attenzione e il tempo impiegato nel cucinare, l’intenzione presente nel momento in cui lo si mette nel piatto fanno la differenza e diventano, essi stessi, qualità, “sapore” e nutrimento che si aggiunge ai nutrienti “tradizionalmente” intesi.

Il cibo è, in ultima analisi, famiglia, amicizia, ritualità, emozioni condivise e altro ancora e, non ultimo, cultura. Ecco perché tendiamo ad aumentare la quantità di cibo giornaliera quando abbiamo bisogno di conforto.

E, sia pur inconsapevolmente, scegliamo cosa mangiare in modo compensatorio non solo rincorrendo la soddisfazione del palato ma accordando un significato simbolico al singolo alimento e al conseguente inconscio piacere che ci arreca.

Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei

E allora siamo a caccia di cibi morbidi, quando auspichiamo una dimensione di integrazione affettiva; di cibi duri, croccanti, quando vogliamo tendere alla grinta, alla resilienza. Sembra, inoltre, che gli alimenti dolci siano consolatori e soddisfino un bisogno di accudimento e che i cibi salati, invece, rinforzino un comportamento volitivo, indipendente.

A loro volta le carni evocano un elemento di forza e aggressività mentre quelli vegetali suggeriscono una dimensione relazionale armonica, preludio di leggerezza. La scelta di piatti semplici rivela un bisogno di chiarezza, linearità. Le pietanze elaborate, invece, possono indicare un bisogno di integrazione di aspetti diversi e complessi. Il latte e i latticini ci richiamano la mamma, mentre i cereali, specie il frumento, ci parlano del “padre”.

Ancora, i germogli sottintendono l’esplosione di nuova energia, il nuovo che deve ancora acquisire una forma definitiva, mentre i tuberi ci riportano al nostro nucleo originario, le forze depositate nella terra, le nostre radici.

Ma anche il modo in cui il cibo ci è stato somministrato da piccoli e la qualità delle emozioni sottese fanno la differenza.

Se, ad esempio, da bambini, ci è stato dato regolarmente il “ciuccio” come rimedio quando eravamo stanchi o nervosi, per distrarci dai capricci, ma anche come premio per un certo nostro comportamento, o per altri motivi che nulla avevano a che fare con la nostra fame fisiologica, crescendo tenderemo, spontaneamente, ad aprire il frigorifero per trovare una risposta anestetica alimentare immediata e compensatoria al disagio emotivo del momento.

La prossima settimana completeremo la “narrativa” sul cibo e significati simbolici.

3 thoughts on “CIBO EVOCATIVO

  1. Molto interessante. Leggendo trovi dentro di te le cinferme di quanto ciò che hai letto corrisponda alla realtà fusica, psicologica ed emotiva che hai dentro di te.

  2. Caro Angelo, leggerti è sempre un grande piacere e in contemporanea uno spunto di riflessione … buon lavoro Renata

  3. Da pedagogista devo farle i complimenti. Articolo molto interessante con tematiche spesso conosciute ma non sufficientemente articolate in modo personale. La rielaborazione dei nostri vissuti attraverso un’ analisi su cosa e come mangiamo, aiuta ad accrescere la consapevolezza di sé e la comprensione è il primo tassello per un sano ed evolutivo cambiamento.
    Grazie Dott.Angelo Bianco
    Le auguro successo nel suo lavoro come merita.
    Michela Mologni

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