IL LATTE (III parte)

“Nella vita tutto consiste nel poter digerire bene.
Così l’artista trova l’ispirazione,
i giovanotti la voglia d’amare,
i pensatori le idee luminose
e tutti quanti la gioia di stare al mondo.”

Guy De Maupassant

Il latte fa bene o male?

L’argomento suscita spesso un acceso dibattito, il più delle volte controverso. Provo a riportare il mio punto di vista riguardo al consumo di latte in età adulta, cercando di “limare” i dubbi e la diffidenza riguardo alla sua presunta nocività.

Dal punto di vista evolutivo, si stima che l’introduzione di questo alimento sia iniziato parallelamente all’addomesticamento degli animali, che, insieme alla coltivazione dei primi cereali, risale a circa diecimila anni fa. Questa rivoluzione nella nutrizione umana ebbe luogo contemporaneamente in diverse zone del mondo. La Mezzaluna fertile, ovvero la valle del Nilo e la Mesopotamia, fu certamente una delle prime aree in cui si verificò questo fondamentale passaggio evolutivo dei nostri antenati che, da raccoglitori e cacciatori, si trasformarono prevalentemente in agricoltori, pastori e allevatori.

L’uomo cominciò, quindi, a consumare il latte degli animali che allevava.

Scene in un fregio che ornava il tempio di Ninhursag, Tell al Ubaid c. 2475 a.C.. Il fregio, mostra quattro uomini e due coppie di vacche e pecore al di fuori di un recinto. I Sumeri consideravano molto importante la mungitura e la trasformazione del latte.

La settimana scorsa abbiamo evidenziato che il latte è il primo alimento con cui veniamo in contatto. Esso ci permette di crescere e, come noi, anche qualunque altro piccolo di mammifero sopravvive proprio perché chi lo ha messo al mondo lo allatta. Il piccolo è, ovviamente, in grado di assorbire e digerire questo nutrimento che lo aiuta a crescere.

Questo, ovviamente, può valere a maggior ragione anche per l’essere umano in età adulta e, infatti, l’essere umano è l’unico mammifero a bere latte anche dopo lo svezzamento. Al contrario, i bambini che nascevano prima che l’uomo diventasse allevatore, non potevano bere latte dopo lo svezzamento semplicemente perché non era un alimento disponibile, eppure crescevano e arrivavano all’età adulta senza particolari carenze. La vita media era più bassa, è vero, ma lo era per altre ragioni, non certamente perché non si beveva il latte.

Tuttavia, se è vero che l’essere umano è l’unico mammifero che beve latte anche dopo lo svezzamento, è pur vero che è l’unico mammifero dotato di mutazioni specifiche, sviluppate nel corso degli ultimi diecimila anni, che permettono di tollerare il lattosio anche in età adulta. In origine, in svariate zone del mondo, dopo il periodo dell’allattamento, gli individui persero la lattasi, l’enzima necessario per digerire il lattosio.

Tuttavia, in altre zone, specialmente nell’emisfero settentrionale, si presentò una mutazione genetica che rese tolleranti al lattosio anche gli adulti. Questo consentì alle popolazioni che vivevano nella parte settentrionale del mondo di continuare a consumare il latte e i suoi derivati anche da adulti, garantendo una fondamentale fornitura di calcio e vitamina D, che non sarebbe stato possibile assimilare diversamente.

In effetti, questa circostanza spiega perché, per le popolazioni del Nord Europa, dove non c’era grande disponibilità di altri alimenti ricchi di questi fondamentali nutrienti, si sarebbero selezionati i soggetti portatori di una così importante caratteristica genetica, pur originariamente dovuta a una mutazione casuale. Dono compensatorio della natura per colmare la carenza di sole? La distribuzione di questa peculiarità genetica in effetti non è omogenea, ma varia considerevolmente fra le etnie e fra i singoli individui. Sta di fatto che, nel Nord Europa, l’incidenza di intolleranti al lattosio è minima, mentre è molto più alta in Asia e in Africa.

Statistiche alla mano, circa il cinquanta per cento degli italiani è geneticamente intollerante al lattosio. Questo dato, allargato su scala mondiale, conferma che l’essere umano, tuttora, è evolutivamente disadattato al consumo di latte, pur restando chiare differenze fra individui e popolazioni diverse.

Il lattosio è uno zucchero che, se assunto da un portatore di intolleranza ad esso, causa problemi legati soprattutto alla sua fermentazione. Esso raggiunge, infatti, i distretti più lontani dell’intestino, fino al colon, dove normalmente non dovrebbe arrivare. In quest’area fermenta, producendo gas e gonfiore, richiamando acqua, e dando origine a conseguenze spiacevoli quali la diarrea osmotica. Queste problematiche sono però legate ai sovraccarichi di lattosio e non a delle piccole quantità. Da sottolineare che la lattasi, l’enzima che scinde il lattosio, è un enzima inducibile.

Pertanto, se un individuo geneticamente tollerante al lattosio smette di bere il latte, diventa fisiologicamente intollerante ad esso perché la produzione di questo enzima si abbassa e diventa insufficiente. Tuttavia, la lattasi si può riattivare consumando il latte in piccole quantità per poi aumentarle progressivamente. Per i soggetti geneticamente intolleranti, invece, la lattasi resta sempre insufficiente e quindi un sovraccarico di lattosio genera problemi.

Sempre per rigore divulgativo, va precisato che l’intolleranza al lattosio non è un’allergia e l’intollerante al lattosio non è obbligato a evitare totalmente latte e latticini. Si tratta di un’intolleranza quantitativa, pertanto è sufficiente evitare gli eccessi, per scongiurare il rischio di reazioni negative.

Oltre a questa eventualità, però, quando si subiscono interventi sul tratto digestivo, si impoverisce la quantità di lattasi a livello di quel tratto e, di conseguenza, la capacità di assumere latte senza problemi può ridursi. Nel periodo post-operatorio, tuttavia, è sufficiente attuare una rieducazione al suo consumo. Per chi perde del tutto la lattasi, o resta a lungo senza consumare latticini, esistono enzimi artificiali che possono essere introdotti per limitare questo problema. Quindi, da questo punto di vista, il latte, di per sé, non fa male e non è necessario eliminarlo dalla dieta.

Spesso si ritiene che l’avanzare dell’età determini un peggioramento della capacità di digerire il latte, ma questa associazione va smentita. Ci sono molti anziani che cenano con pane e latte, non è quindi vero che più si è anziani più il latte fa male. La buona digestione del latte non è legata all’età, bensì all’abitudine al suo consumo.

Un test molto efficace per svelare questa intolleranza è il “breath test”, un approccio rapido e non invasivo che permette una diagnosi certa.

La prossima settimana affronteremo l’argomento latte come potenziale “veleno bianco”.

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