Superfood

Esempio di Superfood e di frutti dimenticati

“Chicchi lucenti e di un bel colore rosso acceso, dolci e un po’ aciduli,
piccoli gioielli che riescono a illuminare l’autunno.”

Carlo Bogliotti

Ebbene sì, con questo post torniamo a parlare di frutti di stagione. La citazione può aiutarvi a capire qual è il primo frutto di cui parleremo…

Le Melagrane

Sono i frutti del melograno e vengono annoverati oggi tra i Superfood (ovvero, prodotti dotati di cospicue sostanze nutritive utili che, integrati ad una dieta equilibrata, apportano benefici alla salute).

La pianta, originaria del Medio Oriente, è molto diffusa nei paesi del Mediterraneo ed è simbolo di bellezza e fertilità. Se non fosse per la difficoltà di mangiarle, le melagrane sarebbero anche un frutto piuttosto ricco di calorie: ben 63 Kcal con quasi il 16% di zuccheri. Esse si caratterizzano tuttavia per avere una scorza, all’interno della quale si raccolgono i succosi arilli rossi che si sviluppano attorno ai semini.

Sgranare questo frutto è un lavoro abbastanza impegnativo e la parte edibile è solo il 59%, ma se vi può sembrare difficile o scomodo utilizzarle allora, ecco a voi un video per sgranarli più facilmente!

La melagrana ha enormi proprietà antiossidanti, in quanto ricca di vitamina C, acido gallico, granatina, punicacorteina, punicafolina, punicalina, delfinidina e soprattutto acido ellagico (definito anche composto nutraceutico, dagli effetti benefici sull’obesità e le sue complicanze metaboliche).

Citato dalla Bibbia come uno dei sette frutti della terra promessa, era già noto agli Egiziani e anche ai Greci. La mitologia greca racconta che il melograno è una pianta sacra per le divinità Giunone e Venere ed è presente anche nel mito di Persefone per spiegare l’alternanza delle stagioni. Esso rappresentava anche l’energia vitale, dato che il suo colore rosso ricorda quello del sangue. Nella tradizione italiana il melograno è diventato sinonimo di buon auspicio economico oltre che di fertilità.

Un cenno ai frutti antichi

L’intento divulgativo punta i riflettori sui frutti genuini “dimenticati”, alcuni dal passato leggendario. Proviamo a tutelare la biodiversità di questi cibi per i nostri nipoti?

È difficile rendersi conto di quanto sia complessa la storia che c’è dietro un semplice cibo consumato tutti i giorni e di quanto faticoso lavoro sia necessario affinché quel semplice cibo arrivi nel nostro piatto. Questa mancanza di consapevolezza ci porta spesso a non dare importanza alle nostre abitudini alimentari, a non pensare che mangiare o non mangiare determinati cibi faccia la differenza, sia per la nostra salute, sia per l’ambiente in cui viviamo. Mi piace scriverne affinché vengano non solo ricordati, ma anche riscoperti in modo innovativo, consapevole della loro bontà e delle loro proprietà benefiche, un vero condensato di proprietà nutraceutiche (si definisce nutraceutico un alimento o una parte di esso con comprovati effetti protettivi sulla salute psicofisica dell’individuo).

Sono prodotti della terra che fanno parte purtroppo spesso solo dei ricordi, in quanto superati da alberi maggiormente produttivi più utili alla produzione industriale. Oggi anche la conservabilità è un’altra caratteristica determinante: alcuni frutti sono stati dimenticati a favore di quelli che si mantengono meglio e che non si rovinano facilmente.

Tra i frutti antichi cito
Gelsi, sorbo, susine, giuggiole, chinotti, corbezzoli, nespole azzeruole, mele cotogne, pere volpine, corniole.

Una menzione particolare merita la carruba.

La Carruba

Anch’essa è uno dei frutti dimenticati e, come tale, molto difficile da reperire in commercio, a meno di non abitare in luoghi dove cresce spontaneamente. Conviene acquistarla abbastanza fresca, poiché dopo qualche settimana di conservazione non perfetta la polpa diventa secca e quasi immangiabile. La marmellata di carrube è una crema spalmabile. Non a caso la carruba è utilizzata come surrogato del cacao.

Le carrube erano un tempo la classica merenda dei bimbi più poveri che trascorrevano le giornate a giocare per strada. Oggi sono state declassate a mangime per maiali e cavalli che, a quanto pare, ne sono ghiotti. 

La carruba sarebbe un cibo saziante e tornerebbe utile nelle diete per facilitare la perdita di peso, grazie anche al discreto contenuto di fibre alimentari.

La farina di semi di carrube ha funzione gelificante ed addensante e trova impiego nell’industria dolciaria e delle conserve alimentari. È utile anche contro la diarrea grazie alla sua capacità di assorbire l’acqua.

Storicamente era conosciuta come pane di San Giovanni ed associata alla figura di San Giovanni Battista. Si narra fosse l’alimento consumato dall’evangelista nei periodi di meditazione nel deserto. Questo frutto, che viene fatto rientrare nella famiglia delle leguminose, è piuttosto calorico: circa 210 calorie per 100 grammi.
La gomma di carrube svolge un’azione benefica nel trattamento del reflusso gastroesofageo e attenua anche i sintomi del colon irritabile.

Grazie alla ricchezza in fibre e alla gelificazione del contenuto intestinale, le carrube diminuiscono l’assorbimento lipidico, soprattutto del colesterolo alimentare e modulano l’assorbimento dei carboidrati riducendo l’impennata glicemica. Hanno inoltre una funzione prebiotica, nutrendo la flora batterica intestinale.

Vi rimando al prossimo ..White Friday del Dr. Bianco.
Discuteremo di frutta e vitamina C. Devo fare i nomi?

Il corso delle Stagioni

La nostra vita dovrebbe essere semplice e spontanea come le stagioni,
con il freddo dell’inverno, il tepore della primavera, 
il caldo dell’estate e la dolcezza dell’autunno.
Romano Battaglia

Secondo te conviene rispettare la stagionalità degli alimenti, in particolare di frutta e verdura? O va bene comunque mangiare gli agrumi anche in estate e le pesche in inverno?

Svariati sono i motivi per privilegiare la frutta e la verdura nel corso della loro stagione naturale di maturazione, sia per l’ambiente, sia per la salute.

Innanzitutto, la frutta stagionale ha proprietà nutritive superiori rispetto ad un frutto o ad una verdura maturata al di fuori del proprio periodo canonico.

La nostra cara Dieta Mediterranea afferma che cinque porzioni di frutta e verdura al giorno consentono di raggiungere o mantenere un buono stato di salute dell’organismo. La frutta e la verdura di stagione sono più fresche, più buone e conservano una quantità di vitamine e sostanze antiossidanti più elevata rispetto a quella fuori stagione o di importazione, che deve percorrere molta strada prima di raggiungere le nostre tavole.

Effetto della globalizzazione

Oggi, con la globalizzazione e con le tecnologie sempre più avanzate in campo alimentare, ci siamo abituati ad avere sempre a disposizione ogni alimento che desideriamo.

Questo comporta un aumento del consumo di prodotti con un elevato contenuto di conservanti, mentre la frutta e la verdura coltivate e raccolte nei periodi canonici non devono ricevere trattamenti chimici speciali per sopravvivere in stagioni di per sé inadatte.

Fuori Stagione

Va sottolineato che, dovendo crescere fuori stagione, le piante sono più deboli e quindi cadono più facilmente preda dei parassiti e hanno bisogno di trattamenti “dopanti” di origine chimica.

Non è nemmeno trascurabile che i prodotti fuori stagione, e quelli di importazione, abbiano un costo decisamente più elevato.

Rispettare la stagionalità ci permette così di nutrirci con prodotti di qualità superiore ad un prezzo inferiore.
Tale scelta è altresì ecologicamente corretta e si riflette anche nel rispetto dell’ambiente e del pianeta.

Inoltre, una corretta alimentazione, per essere quanto più sana possibile, deve essere varia, e consumare frutta e verdura di stagione ci aiuta a rispettare questa norma.

Del resto, le nostre esigenze nutrizionali non sono sempre le stesse durante tutto l’anno, ma a seconda della stagione il nostro organismo può aver bisogno di vitamine, oligoelementi e sali minerali differenti.

Il nostro corpo segue le stagioni

In estate il nostro corpo ha per esempio la necessità di assumere cibi più light, ricchi di acqua e di sali minerali, rappresentati alla perfezione dai frutti dei mesi più caldi; d’inverno, invece, il nostro organismo cerca protezione dal freddo con cibi più grassi.

Come per incanto (ma non lo è), sembra che la natura ci offra proprio ciò di cui abbiamo bisogno, nel momento in cui il nostro organismo lo richiede.

Certo, di tanto in tanto, si può mangiare un frutto esotico o fuori stagione, gustandosi magari una torta con le fragole a fine settembre. Ma deve essere un’eccezione.

Un po’ di orgoglio “patriottico”

Il concetto di stagionalità è particolarmente legato al nostro territorio, l’Italia, il cui clima mite permette la coltivazione di una grande quantità di frutta e verdura.

Un altro importante motivo per seguire la stagionalità riguarda il gusto. Ad esempio, un pomodoro mangiato durante l’inverno avrà un sapore diverso, perché le basse temperature riducono le sostanze organolettiche che rendono il pomodoro così saporito. Come conseguenza, la riduzione del gusto porta spesso ad un abuso di condimenti come sale o altro.

In questo post vi voglio anche raccontare di un particolare frutto di stagione, che ciò nonostante non è molto diffuso nelle nostre tavole invernali.

Il Caco

L’albero di cachi (o kaki) è un albero alquanto ornamentale, definito dai cinesi l’albero delle sette virtù. Longevo, fornisce protezione dai raggi del sole creando una grande ombra, dà un posto agli uccelli per nidificare, non viene attaccato da parassiti, fornisce legna da ardere in caso di necessità, etc.


Il frutto ha una polpa dolcissima, morbida e cremosa. Durante la maturazione di questo frutto il contenuto di tannini, che danno il tipico effetto astringente al palato, si riduce, mentre aumenta quello degli zuccheri. I cachi devono la loro dolcezza alla notevole quantità di zuccheri (16%, un etto apporta intorno alle 65 Kcal) ma anche alla loro consistenza morbida e cremosa che esalta in bocca tale sapore.

Questa caratteristica diminuisce però l’indice di sazietà ed occorre valutare sempre con attenzione le quantità assunte per non esagerare con le calorie. Contiene inoltre percentuali irrisorie di proteine e grassi, mentre presenta un 2,5% circa di fibre.

Il colore arancione del cachi (o caco, nella variante popolare) è indice dell’elevato contenuto di beta-carotene e licopene, sostanze “imparentate” fra loro, la cui proprietà antiossidante è fondamentale per aiutare a contrastare il deterioramento delle cellule.

Inoltre, il cachi garantisce un discreto apporto di vitamina C che gioca un ruolo chiave nella prevenzione dei malanni respiratori.

Il caco non è però l’unico frutto cui prestare attenzione in questa stagione… Ne riparleremo, assieme ad un esempio di superfood ed un cenno anche a frutti dimenticati, nel post di venerdì prossimo (ricorda ogni venerdì il “White Friday del dott. Bianco“).