Un “pezzo di pane”

I sapori semplici danno
lo stesso piacere dei più raffinati,
l’acqua e un pezzo di pane
fanno il piacere più pieno a chi ne manca.
(Epicuro)

I ricordi sopiti di quando ero bambino ritornano con improvvisa forza quando, passando davanti al panificio, respiro il profumo del pane appena sfornato. Ne sono inebriato e la mente corre a quando, da piccolo, con i pantaloncini corti, e con ai piedi i sandali chiusi, dalla punta consunta per i calci tirati al pallone, correvo felice per le stradine sterrate attraverso i campi di spighe, fino al punto più alto di essi.

Da lì, come la piccola vedetta lombarda di deamicisiana memoria, mi perdevo ad ammirare quel mare giallo sulla cui superficie il vento disegnava, accarezzandola, giochi infiniti della durata di attimi. Poi la mietitura, la raccolta, la sgranatura a mano e la corsa al mulino per la macinatura. I sacchi di farina scura ed ancora, le donne ad impastare, sui tavoli di marmo bianco, e le fascine a ravvivare il calore dei forni a legna.

Il miracolo di vedere trasformate acqua e farina in questa gioia per il palato risvegliava in noi ragazzi una curiosità famelica. Era difficile resistere alla voglia di azzannare una di quelle saporite pagnotte. La cura, quasi religiosa, con cui veniva conservata la pasta madre era per me fonte di altre curiosità. Come poteva un pezzo di impasto informe e di certo poco invitante, essere il protagonista della lievitazione? Eppure era
così, quell’impasto, ogni volta rinnovato, era la vera anima dell’intero processo.

Mia madre mi raccontava di come questo metodo, ma potremmo chiamarlo rito, lo stesso identico da sempre, era tramandato da sua madre, e, prima di lei, da generazioni.

Oggi, purtroppo, in pochi offrono ancora prodotti a lievitazione naturale. Già, la velocità dei tempi moderni si fa sentire anche in questo campo.

Non mi va di scrivere la frase fatidica “non esiste più il pane di una volta”, “non esistono più le mezze stagioni” ma meditiamoci un po’ sopra……

Malgrado gli apprezzamenti teorici e le celebrazioni congressuali della cosiddetta dieta mediterranea la realtà dei consumi è ben diversa e proprio il consumo di uno dei capisaldi delle nostre vecchie abitudini alimentari, il pane, è in declino.

Spesso prevale la disinformazione riguardo al contributo che il pane, apportatore di carboidrati per eccellenza, darebbe all’obesità. Appena una persona decide autonomamente di mettersi a dieta, la prima azione errata che compie è quella di ridurre l’aliquota dei carboidrati: niente più pane e pasta.

Questo comportamento è sbagliato e alla lunga anche pericoloso, perché le raccomandazioni internazionali concordano sul fatto che la “miscela alimentare nutrizionale” ottimale per l’uomo deve essere composta da una quota importante di carboidrati complessi.

E’ ovvio che l’abolizione dei carboidrati dimezzerebbe l’apporto calorico, ma lo farebbe sconvolgendo quell’equilibrio metabolico fra i nutrienti che assicura il normale funzionamento della macchina umana.

Al riguardo il professor Del Toma, in uno dei suoi libri, riportava la seguente, creativa, similitudine: “può darsi che un motorino, concepito per utilizzare una miscela olio-benzina, possa percorrere svariati chilometri anche alterando la percentuale della miscela specificata dal costruttore ma è certo che prima o poi nasceranno dei guai, ovvero GRIPPERA’ e la vita media del motore ne risulterà abbreviata.

Oggi, nel mondo occidentale , siamo (???) in un epoca di abbondanza e non certo di carenza alimentare, gli apporti nutritivi sono coperti da vari alimenti, ed al pane non compete più l’esclusiva di surrogare componenti che è possibile ottenere da altre fonti alimentari. Ma resta tuttora valido il ruolo del pane nell’ambito di quei cibi che debbono fornire quel quantum di calorie totali che competono ai carboidrati.

Sorvolo per ora sulla retorica riguardo al valore simbolico e tradizionale del pane (ne riparleremo) e concludo asserendo che, comunque, il pane resta un nutrimento importante, soprattutto quando parliamo di pane “comune”, ovvero quel pane privo di grassi e confezionato con farina non eccessivamente raffinata e sottoposto ad adeguata lievitazione. In merito riporto i risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori di Saragozza, in Spagna, che hanno evidenziato che il consumo di pane industriale potrebbe alterare la composizione del microbiota intestinale, facilitando la proliferazione di batteri coinvolti in processi infiammatori e che possono avere un ruolo nella genesi dell’obesità.

Al contrario, sempre secondo quanto emerge dalla stessa ricerca, pubblicata su Journal of Functional Foods, il pane tradizionale, prodotto con pasta madre, potrebbe associarsi ad una maggiore diversità batterica del microbioma ed avere effetti positivi sia sul sistema immunitario sia sul metabolismo.

Concludendo, la tradizione e la razionalità dietetica legittimano la sopravvivenza del pane nella “diete equilibrata” e ne giustificano anche le varianti dietetiche, da quella “iposodica” (il tradizionale pane sciapo dell’Umbria e della Toscana) a quella “aproteica” per i casi di intolleranza al glutine.

Laddove, invece, si parla di pane non pane, magari definito pane “speciale”, privo di crusca e arricchito di grassi, emulsionanti e conservanti, anche un nostalgico come me può non avere grandi rimpianti per il suo declino.

C’era una volta il Pane

La prossima settimana parleremo di tipi di pane diversi e di “sostituti”.

One thought on “Un “pezzo di pane”

  1. Condivido pienamente: non riesco proprio a resistere ad addentare uno sfilatino croccante appena sfornato, è un piacere per il palato!

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