Enodissea (terzo e ultimo atto)

Lui m’offerse splendidi doni:
d’oro ben lavorato sette pesi mi diede,
mi diede un cratere d’argento massiccio,
e vino, versandolo in anfore, dodici in tutto,
dolce e puro, divina bevanda; nessuno
lo conosceva dei servi e delle ancelle di casa,
ma lui solo e la sposa e la dispensiera fedele.
E quando bevevano quel vino rosso, dolcezza di miele,
riempiva una sola tazza e in venti misure d’acqua
mischiava; e un odore soave dal cratere odorava,
divino; allora starne lontani non era caro davvero.

Odissea, libro IX. traduzione di Rosa Calzecchi Onesti

Fu al culmine di cotale tormento
che sorse in Bacco irritazione;
decise tosto un suo intervento
e prese dell’Olimpo la direzione.

Che fu di Zeus al cospetto,
usò tutta la sua eloquenza;
espose dunque la questione di getto
ed esordì: “Sua eccellenza,
credo che ora si stia esagerando,
mi riferisco al collega Poseidone,
che sta un pò troppo perseguitando
il mio preferito, del vino il campione.

Digli dunque di farla finita
al tuo esperto di gamberi e calamari,
se non vuoi che ti cambi la vita
e ti renda i piaceri assai rari.

Libera, orsù, il mio protetto
con olimpico decreto immediato,
se non vuoi che del vino, tuo diletto,
tu debba per sempre esser privato”.

Fu per scongiurar siffatto rischio
che Zeus agì con decisione:
dalla vetta dell’Olimpo fece un fischio,
convocando innanzi a sè Poseidone,
al quale riservò una gran strigliata,
agitando fulmini e saette,
ordinandogli tosto la ritirata
da sì stupide, infantili vendette.

Arrivò, allora, il sospirato momento
che sembrava precluso da un destino rio;
finì per Ulisse il lungo tormento,
finalmente toccò il suolo natio.

Muovendo i primi passi in terra itacese,
cominciò a sentire voci su voci
e non fu bello ciò che apprese
a riguardo dei principi Proci,
quali i perfidi Antinoo ed Eurimaco,
che nella real casa sostavano ognora,
tenendo in scacco il figlio Telemaco
ed insidiando la sua signora:
Penelope la triste, chiusa in una stanza,
che del ritorno del consorte amato
avea perso ormai la speranza,
essendo troppo tempo ormai passato.

I Proci insistevano, con le loro facce toste,
provocandole grande turbamento,
e le ripetevano nuziali proposte
che a lei suonavan di Ulisse tradimento.
Ma Ulisse, cupo di rabbia e di sommo rancore,
non consente di subir disdetta;
in silenzio, ma con sacro furore,
prepara inesorabile vendetta.

Bacco gli muta il suo apparire;
giunge alla reggia insieme a suo figlio;
qui si accendono tutte le sue ire
ed affila mentalmente il suo artiglio.
Dai vili Proci viene schernito,
mentre sosta con il fido Eumeo;
ma ormai ha deciso di Penelope il marito
partecipare al regale torneo.

Non tendono l’arco i Proci, poveretti,
pur impegnandosi con tutte le forze!
i loro tentativi risultano negletti
e fan la figura di tenere scamorze.

Tocca ora a Ulisse, in mendico sembiante:
ei tende l’arco con abilità
intanto Dioniso osserva vigilante
e scocca la freccia con facilità:
si allunga dei presenti l’attonito sguardo
incredibilmente ad ammirare
il veloce penetrante dardo
dodici botti in fila perforare.

Ora riconoscono Ulisse con stupore:
è lui, potente come un toro,
che esprime tutto il suo furore;
e per i Proci son cavoli loro!

Ormai placata è la sua ira;
scende dalle scale la sua consorte;
egli la guarda, la contempla, la ammira
e di entrambi il cuore batte forte.

Ah, quale struggente emozione
si fonde insieme a immensa gioia!
Penelope abbraccia con devozione
l’eroe tornato dalla guerra di Troia.

Decidono così i due di festeggiare
la ritrovata bramata unità;
voracemente si mettono a mangiare
e a bere vino a volontà.

Si spengono le luci, finita è la festa,
attesa per anni con impazienza;
ora una cosa i due hanno in testa:
porre rimedio a sì lunga astinenza.

E mentre Bacco fa furbo l’occhiolino,
c’è ancora tempo per un ulteriore goccino. …

La prossima settimana mi “avventuro” in una dissertazione personale, sempre sul tema vino.

Scrivi qui il tuo commento