Il Vino (seconda parte)

“Il vino eleva l’anima e i pensieri,
e le inquietudini si allontanano dal cuore dell’uomo”
Pindaro

Vino è storia, costume, business, piacevolezza, moda e tendenza.

Può essere un complemento dell’alimentazione o solo un veicolo di piacere?

Si può conciliare gusto e salute?

Provo a far passare un messaggio responsabile di salute pubblica, cercando di contrastare le fake news che pervadono la cultura corrente e la società. Evito di proporre scorciatoie interpretative di grande impatto emozionale e perciò persuasive. Ammetto di concedermi un bicchiere di vino in compagnia. Riprendo un concetto espresso sul blog già un anno fa che chiosava il pensiero dell’illustre professor Del Toma secondo il quale nessun cibo di per sé è tabù.

Precisazione doverosa: vino, birra e superalcolici non contengono soltanto alcol. Ecco perché spesso, specie in base a dati di laboratorio e a modelli di sperimentazione animale, si è ipotizzato che proprio il contenuto di altri componenti, soprattutto polifenoli, altamente antiossidanti, possa svolgere un ruolo non secondario nel determinare gli effetti favorevoli di un moderato consumo di alcolici.

Bianco o rosso? Resveratrolo, acido caffeico, tirosolo, idrossitirosolo…. Nuove evidenze di una cultura salutistica enologica? Uno dei temi più complessi per la moderna dietologia è la relazione che può intercorrere tra consumo moderato di alcol e salute. E’ opinione condivisa, da parte della comunità scientifica, che le persone sane, che includono nel loro stile di vita un consumo moderato di bevande alcoliche, possano ottenere alcuni benefici per la salute. Questo, tuttavia, contrasta con quanto sostenuto da alcune Organizzazioni Internazionali quali IARC, OMS, che considerano queste abitudini potenzialmente pericolose.

Occorre molta cautela nell’interpretare risultati in base ai quali si fanno osservazioni del tipo: “per livelli di consumo pari a 1-2 drink al giorno per gli uomini e di uno solo per le donne, (valori quindi lievemente più bassi di quelli prima citati, che definiscono i limiti del cosiddetto “consumo moderato” per i Larn) la mortalità generale è sensibilmente ridotta (in media del 20% circa rispetto a quella rilevata tra gli astemi). Come si sa, il metodo scientifico è fatto di tesi, esperimenti, ma anche confutazioni e verifiche di veridicità precedenti che poi possono venire smentite.

Si tratta pur sempre di studi di epidemiologia osservazionale. Ovvero, anche se condotti in modo rigoroso e analizzati secondo le più adeguate tecniche statistiche, non consentono di documentare relazioni causa-effetto. Questo vale, ovviamente, sia per gli effetti positivi sia per quelli negativi. Non si può quindi escludere che gli effetti rilevati in alcuni studi (positivi o negativi che siano) dipendano dalla presenza di “fattori confondenti” non noti, che ne impediscono l’immissione nel modello statistico. Risultati e distorsioni, quindi difficoltà di interpretazione delle ricerche. Ad esempio, se si comparano categorie di bevitori moderati e di non bevitori, può essere che, a differenza dei bevitori, i non bevitori siano meno attivi fisicamente e più sovrappeso.

A supporto di questa interpretazione, esiste uno studio nel quale si è osservato che le persone che già soffrivano di una malattia cronica in tenera età avevano alte probabilità di non consumare alcolici negli anni successivi. In tal caso il confronto introdurrebbe una distorsione o, in gergo statistico, “bias” che porterebbe a sottostimare l’effetto dell’alcol. Altra correlazione tra le più difficili da verificare è quella tra alcol e sovrappeso e obesità. Parrebbe che le dosi moderate di alcol abbiano un effetto neutro o, al più , benefico. Negativo, ovviamente, l’impatto delle alte dosi.

Ulteriori metanalisi non permettono di trarre conclusioni definitive (spesso i dati sono anche limitati a causa del numero di partecipanti e della durata delle osservazioni) come è accaduto negli studi in merito al rapporto tra alcol (ovviamente i dubbi persistono laddove si parla solo di dosi moderate) e sensibilità all’insulina.

Sempre ipotizzando il nesso di causalità, qualora il consumo di alcol si mantenesse nei limiti fissati dall’European Code Against Cancer, ovvero 20 g/die per gli uomini e 10 g/die per le donne, pare che si eviterebbe il 90% dei tumori e delle morti per cancro alcol-associate negli uomini e il 50% nelle donne.

La moderazione nel consumo di alcol diventa perciò una priorità a livello mondiale.

Un altro fattore che rende meno probabile l’associazione tra consumo moderato di alcol e tumori è legato al fenomeno dell’“under-reporting”, cioè la possibilità, molto frequente, che chi beve in eccesso tenda a riferire, in sede di questionari, consumi inferiori alla realtà.

A voler tirare le somme: chi è astemio non deve essere incoraggiato ad assumere bevande alcoliche, così come l’assunzione di alcol deve essere scoraggiata in bambini, adolescenti, donne in gravidanza, durante l’allattamento e, naturalmente, nelle persone che stanno seguendo o hanno completato un percorso di disassuefazione; Da scoraggiare assolutamente il fenomeno del “binge drinking”, la cui modalità ne amplifica la tossicità, a maggior ragione in età adolescenziale, considerando che fino a 18 anni i sistemi enzimatici per “digerire” l’alcol non si sono ancora formati.

Certo, con estrema onestà, parlando di prevenzione primaria, qualunque sia il livello di consumo, “less is better”. E, se si vuole fare prevenzione del cancro, non bere è la scelta migliore. A voler essere rigorosi, non esiste un livello sicuro di alcol. Solo il consumo zero non è pericoloso. Ma bisogna, come sempre, fare una valutazione del rapporto rischi-benefici.

Provo a dare due risposte, una semplice e una articolata, alla domanda: “Il vino può far male alla salute anche in minime dosi?“.

Dal punto di vista prettamente numerico e fisiologico, purtroppo sì. E da questo punto di vista, il binomio “vino e salute” è improponibile. Ma è risaputo che potrebbe far bene su altri piani, molto elusivi, però, e complessi da dimostrare. Ma per chi beve con moderazione, il piano fisiologico non è tutto.

Al riguardo cito ciò che in modo, anche provocatorio, afferma lo statistico Sir David Spiegelhalter, professore a Cambridge: “Visto il piacere associato ad un consumo sobrio e moderato, affermare che non esiste un livello “sicuro” non sembra essere un argomento a favore dell’astensione. Anche guidare non è mai sicuro al 100%, non per questo si raccomanda di evitare di guidare“. A ben riflettere, non esiste uno standard di vita sicura, chiosa il professore. Ma nessuno raccomanda di non vivere.

Il mio punto di vista, lo ripeto, non vuole essere di parte, avventato o dogmatico, pur provenendo io da una civiltà contadina che da sempre (in maniera erronea) ha considerato il vino come alimento “che dà forza e ti ripara dal clima freddo” ed avendo da sempre enfatizzato il modello di dieta mediterranea che celebra la moderazione e tutela il vino come elemento culturale.

Mi piace far parte della dietologia “dal volto umano” (umanistica?).

Non consiglio ma permetto di bere vino, se il consumo spontaneo è gradito. A quel punto suggerisco di bere responsabilmente…meno e meglio. Puntando sul vino di valore, da degustare, ma sempre con moderazione.

A voler completare, da sobrio, il mio pensiero, senza timor di smentita posso affermare che di certo bere un bicchiere di vino, magari saltuariamente, ai pasti principali,  non influisce sulla longevità di un soggetto adulto e sano. Tuttavia, sempre entro i confini della morigeratezza, esso può dare un contributo di serenità, migliorando il gusto e la socialità. Del mangiar bene. Del vivere bene.

Dalla prossima settimana si cambia registro: conto di proporre una serie di articoli incentrati sul pianeta donna.

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