Ecosostenibilità e transizione verde

La pubblicità è solo un modo per far spostare
più rapidamente un prodotto dagli scaffali
del supermercato alle borse della spesa.
(Gavino Sanna)

Ecosostenibilità

L’attenzione dei consumatori all’ecosostenibilità è aumentata negli ultimi anni e ha obbligato le aziende a rendersi a loro volta più responsabili sull’argomento. Inoltre, negli ultimi tempi, i cosiddetti “claims ambientali”, ovvero l’impegno che le aziende pongono nel rispettare il più possibile l’ambiente, hanno acquisito una sempre maggiore importanza.

Ovviamente tutto questo non è solo frutto di buona volontà ma è anche consapevolezza del fatto che una pratica virtuosa di questo tipo, trovando il consenso del consumatore, contribuirà ad accrescere il fatturato.

Per pubblicità ambientale (green claims) si intende quella serie di promesse che rinvia, implicitamente o esplicitamente, alla relazione tra prodotto/servizio e ambiente e che propone l’immagine di una azienda impegnata sul fronte del rispetto ambientale e attenta a uno stile di vita ecocompatibile.

Questo tipo di pubblicità deve essere fondata su precisi requisiti, deve offrire informazioni chiare e non ambigue, comprensibili per il consumatore e precisando l’ambito cui si fa riferimento (ovvero il prodotto, il processo di produzione, l’imballaggio, l’intero ciclo di vita o parte di esso).

Le affermazioni devono essere sostenute da dati pertinenti, significativi e verificabili. Le prove correlate alle rivendicazioni del messaggio devono essere solide, sempre aggiornate al momento nel quale il messaggio è diffuso e seguire standards in sintonia con una metodologia scientifica riconosciuta.

Sono da bandire decisamente affermazioni vaghe o generiche e i claims devono rispecchiare la coerenza del beneficio ambientale promesso con la funzione di utilizzo, il settore e la categoria merceologica del prodotto.

Questo ambito è regolato da uno specifico “Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale” che impone precisi standards di correttezza affinché gli slogans ‘ecologici’ non divengano frasi prive di un concreto significato riguardo alla caratterizzazione e alla differenziazione dei prodotti e delle aziende.

In merito, gli organi autodisciplinari si sono sempre  preoccupati di smascherare il cosiddetto “green washing”, ovvero quel tipo di operazione mirata ad ammantare la comunicazione commerciale di promesse ecologiche che non reggono, nella misura vantata, ad un approfondimento del messaggio pubblicitario. Tanto per fare un esempio, risulterebbe ingannevole pubblicizzare un prodotto ittico come in possesso di caratteristiche esclusive, o di superiorità, ma non dimostrate, tipo la pesca sostenibile, la salvaguardia dell’ambiente marino o l’uso di energie rinnovabili.

Spesso ci troviamo di fronte ad affermazioni perentorie che accreditano convinzioni sbagliate da parte del consumatore e che non trovano alcuna giustificazione nei fatti. Sono consapevole del fatto che il problema esista anche riguardo all’ambito nel quale l’informazione pubblicitaria viene veicolata.

Lasciando stare il mondo, per me non del tutto noto, dei social, mi soffermo su quello della televisione e dei giornali. In ambito giornalistico, una pubblicazione seria si preoccupa di presentare una nota pubblicitaria ben distinguibile dagli articoli veri e propri, curando l’aggiunta della scritta “Pubblicità” nella parte in alto a destra. Il fine dovrebbe essere quello di non confondere le idee ai lettori con finti articoli.

Questa tendenza sta invece diventando prassi da quando è iniziata la crisi del settore dell’editoria, con conseguente costante calo delle vendite di quotidiani e riviste. Ne nasce la comprensibile necessità, per non chiudere i battenti, di fare quadrare i conti procurandosi la pubblicità ad ogni costo. E non è infrequente leggere pubbliredazionali addomesticati che ‘ingentiliscono’ l’immagine dell’inserzionista e aiutano quindi a firmare con lui il contratto.

Per essere chiari, si definiscono pubbliredazionali gli articoli, firmati da giornalisti professionisti, nei quali si parla bene di una nuova iniziativa, o di un prodotto, sottoponendo, prima della pubblicazione, il testo all’azienda che lo pagherà. Se si instaura un rapporto commerciale ambiguo fra editore e azienda, per la pubblicazione di “finti articoli”, diventa difficile, anche per riviste o trasmissioni “salutiste” non accettare pubblicità da ambiti equivoci quali quelli del “junk food” e delle diete “ammiccanti”. Capisco che non sia facile tenere la schiena dritta, ma…..

Un discorso analogo va fatto per le scuole, sempre in deficit di risorse economiche per l’espletamento delle loro attività. Anche in questo ambito, si rischiano comportamenti contraddittori come, ad esempio, messaggi educativi finalizzati alla prevenzione della obesità negli adolescenti e contemporaneamente, la presenza, nelle scuole, di macchine distributrici di bevande gassate e merendine ipercaloriche, non proprio esempi di alimentazione genuina.

Spesso l’efficacia del marketing fa perdere di vista l’impatto sulla salute di questi prodotti zuccherati. Anche la scuola è a conoscenza del fatto che lo zucchero contenuto in certi alimenti e bevande è in quantità elevata. Se il loro consumo si ripete con regolarità, il rischio di malattie legate all’alimentazione, quali per lo più diabete ed obesità, è veramente molto alto. Del resto basterebbe riflettere su un dato inequivocabile, cioè che molto spesso le multinazionali che producono questi alimenti spendono molti più soldi in pubblicità ammiccanti che in investimenti con scopi virtuosi.

Va comunque precisato che da oltre un anno è stato sottoscritto un Protocollo di Intesa tra il Ministero della Salute e l’Associazione Italiana degli industriali produttori di bevande analcoliche (ASSOBIBE) mirato ad una riduzione dell’offerta di prodotti calorici, all’astensione dalla vendita diretta di bibite zuccherate anche nelle scuole superiori e all’astensione dalla pubblicità e dal marketing delle medesime riguardante i ragazzi sotto i 13 anni.

La prossima settimana parleremo di come difendersi dal marketing delle diete.

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