ENODISSEA

Il vino mi spinge, il vino folle, che fa cantare anche l’uomo più saggio,
e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare,
e gli tira fuori parole che sarebbe meglio tacere.
 Omero

Grazie al generoso contributo del compaesano amico fraterno avvocato Pino Piccione.
Le rime sono state create sempre in condizioni di sobrietà.

Ovvero: tutto ciò che non sapete su un famoso poema dell’antichità

Udite, udite, attonite genti,
che siate scolari oppur docenti;
non dubito affatto che vi stupirò,
solleticando in voi curiosa brama;
un notissimo poema vi racconterò,
svelandovi tosto la vera trama.

Di certo conoscerete il prode Ulisse,
re di Itaca, isola dell’Egeo,
del suo peregrinar, di come visse,
grande eroe dell’esercito acheo.

Sicuramente avrete imparato
che il nostro eroe così stimato
dal dio del mare fu perseguitato
per esser poi da Pallade Atena salvato.

Tardi a casa egli tornò,
ma non per capriccioso disegno divino;
in un bel guaio piuttosto si trovò,
per smisurato amor per il vino.

Non fu Atena a prendersi di lui cura,
come afferma la letteratura:
fu Dioniso, dio del vino,
ovvero Bacco in ambito latino.

Alle spalle avean Troia ardente
le navi del grande re itacese;
diresser le prue verso ponente
per ritornare alle familiari attese.

Ma il fatto non passò inosservato
e giunse alle olimpiche altezze,      
ove proprio Bacco restò ammirato
delle ulissiche scaltrezze.

Volle, orbene, Egli premiarlo      
e col suo nettare preferito inebriarlo.

Fu così che Ulisse e i suoi prodi,
zigzagando fra Chio e Cnosso,
fra le isole egee sino a Rodi,
si misero a bere a più non posso:
per festeggiar la vittoriosa pugna
non smisero mai di bere e cantare,
tanto da divenire autentica spugna,
ma perdendo, ahimè, la rotta del mare.

Intanto Penelope la tela tessea,    
attendendo il ritorno del marito amato;
ma quello alla grande se la beveva
ed appariva un pò stralunato
.

L’allegra flotta sul mare ondeggiante,
la terraferma alfine avvistò,
qua e là tra i flutti ancora sbandante,
all’isola dei Ciclopi attraccò.

Del ciclope Polifemo fecero conoscenza,
gigante massiccio e nerboruto,
del Dio del mare diretta discendenza,
pessimo carattere e monoocchiuto.

Imprigionati che furon nell’antro oscuro,
Ulisse gli propose un contrattino:
“Su, non esser troppo duro;
liberaci e ti daremo dell’ottimo vino,
rosso d’annata, in gran quantità,
nelle nostre stive depositato;
assaggiane una caraffa, Tua nobiltà;
il re Nessuno ti ha parlato”.

Così Polifemo tosto li liberò,
in attesa del vino così bramato;
ma il furbo Ulisse per mare si dileguò
e il tonto gigante rimase scornato.

Non fu colpito, quindi, da dardo arroventato,
il gigantesco figlio di Nettuno;
piuttosto, da feroce ira fu accecato
per il bidone tiratogli da Nessuno.

“Maledetto tu sia”, urlando egli disse,
“mi hai lasciato senza un goccio di vino”,
rivolgendosi alla volta di Ulisse;
“ma ora mi rivolgerò al mio papino,
re del mare, divino Poseidone,
che scatenerà tifoni e tempeste,
punendo il tuo gesto da villanzone
e conciandoti, orben, per le feste”.

Allora Nettuno, con sacro furore,
agitò correnti e alti flutti;
ma i fuggiaschi si esibivano con ardore
in grandi bevute e sonori rutti.

Turbolenta fu la navigazione, 
ma incredibilmente mai naufràga;
grazie alla dionisiaca protezione
giunsero dalla Circe, la nota maga.

Costei non li trasformò in pingui porcelli,
come recita la tradizione;
piuttosto li volle di vite alberelli
per raccogliere uve in grande porzione.

Del mitico Ulisse non mutò il sembiante,
ma lo volle con sè vicino
per farne di lei appassionato amante
e, perchè no, fertile contadino.

.

 A venerdì per la seconda parte.

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