Mangiare con i sensi

“Coltivare il piacere dei sensi è sempre stata la mia principale occupazione.”
Giacomo Casanova 

Mangiare. Sembra un verbo qualunque, un’azione come mille altre che facciamo nel corso della giornata. Ma avete mai pensato che passiamo in media 4.5 anni della nostra vita a mangiare? Oltre alla valenza temporale, l’alimentazione ha effetti su molti altri ambiti della nostra vita, dalla salute all’umore…

Dunque, perché non sfruttare al massimo il tempo che passiamo mangiando? Per migliorare la nostra percezione degli alimenti, faremo un breve viaggio attraverso il mondo dei sensi.

Mangiare è un’esperienza sensoriale completa. Tutti i nostri sensi vengono coinvolti. L’estasi del cibo non si racchiude solo nel palato. Ecco che entrano in gioco gli altri organi sensoriali.

Vista

Il senso della vista viene coinvolto già all’atto dell’acquisto di un prodotto. Siamo attratti dalla sua confezione, dal suo aspetto, dal suo colore. Mentre mangiamo, l’aspetto del cibo stimola la produzione della saliva e dei succhi gastrici che preparano lo stomaco alla digestione. Non a caso si dice che un piatto si mangi due volte: prima con gli occhi e poi con la bocca.
Il potere cromatico è legato al naturale approccio multisensoriale, ma anche al significato che i colori esprimono nel nostro contesto culturale. Indicatore di qualità, ad esempio, se parliamo di frutta e verdura, perché ci rivela se gli alimenti sono pronti al consumo, se rispettiamo la loro stagionalità e maturazione.

Olfatto

Come la vista, l’olfatto stimola in noi la produzione delle secrezioni (la famosa “acquolina in bocca”) e ci permette di capire se un cibo è fresco oppure no. Il profumo di un cibo può rievocare un momento particolare o far rivivere una sensazione. Certi momenti effimeri di un pasto in cui abbiamo sentito profumi che ci hanno fatto trasalire, hanno un profumo di eternità. Il naso (olfatto) può ravvisare centinaia di sostanze, anche se presenti nel piatto in quantità minima e ci mette in contatto con la nostra parte più innata di “predatori”, attivando dentro di noi l’istinto di sopravvivenza.

L’intelligenza olfattiva è, infatti, considerata la forma più primitiva di conoscenza. Le memorie olfattive sono molto persistenti, non svaniscono mai e ridestano in noi un’ondata di ricordi sopiti. In ambito nutrizionale pare che le persone possano ricordare il 35% di quanto annusano, il 20% di quanto ascoltano, il 5% di ciò che vedono e l’1% di ciò che toccano. 

Il legame fra odori e memoria fa sì che il nostro cervello “non percepisca” più gli odori molto familiari. Esso smette di avvisarci quando li percepiamo e il nostro olfatto si attiva in presenza di odori non familiari. Retaggio del nostro lontano passato, in cui scoprire la presenza di un intruso era fondamentale per la sopravvivenza.

L’esposizione al profumo di un cibo gradito fa venire voglia di mangiarlo, specie quando, a dieta, si cerca di fare qualche sacrificio alimentare. Coloro che annusano i profumi erogati per circa 30 secondi finiscono per avere voglia di mangiare il cibo di cui avevano inalato l’odore. Se però l’esposizione allo stesso profumo viene prolungata fino a due minuti, si ottiene esattamente l’effetto contrario. Sentire l’odore di un prodotto per un tempo prolungato toglie la voglia di mangiarlo e quindi, per evitare strappi alimentari di troppo, potrebbe essere sufficiente annusare un cibo che piace per un paio di minuti. Questo accade perché i centri di ricompensa nel nostro cervello non distinguono la natura degli stimoli provenienti da diversi sistemi sensoriali. La fragranza di un cibo che piace, dunque, può donare la stessa soddisfazione provocata dal suo sapore.

Ultima “chicca” sull’olfatto. Le sostanze tiepide e molto calde hanno un odore maggiore di quelle fredde. Sorprendentemente, dunque, per gustare al meglio un gelato è meglio trattenerlo un po’ in bocca per intiepidirlo.

Tatto

Recita un vecchio detto: “Le mani sono le posate del re!” Toccare il cibo con le mani, poi con i denti, la lingua e il palato, ci aiuta a percepire la sua consistenza e dà piacere e appagamento, influenzando il nostro giudizio su ciò che mangiamo. Il contatto del cibo con la lingua, le guance, il palato e i denti sono importantissimi. È fondamentale prendersi il tempo necessario per godere di piccole sensazioni quali uno spaghetto che scivola tra le labbra, il frizzare di una bollicina, il cioccolato che si scioglie in bocca.

Udito

Cosa succede quando mordiamo una mela o la crosta croccante del pane? Il rumore che sentiamo dà un senso di soddisfazione e ci invoglia a continuare a mangiare. Quando siamo a tavola i rumori ci predispongono al momento del cibo: acqua che bolle in pentola, lo sfrigolio di una pietanza che cuoce, il frantumare un grissino con i denti, il masticare una bruschetta al pomodoro.

Alcuni studi evidenziano quanto sia importante sentire il suono della propria masticazione per indurre il senso di sazietà. Utile mangiare con la Tv spenta. Se accesa, maschera il rumore della masticazione e, oltre a smarrire il focus su quello che si sta mangiando, si perde anche il “rumore del cibo”.

Gusto

In bocca il cibo viene masticato e sprigiona tutto il suo sapore. I diversi alimenti possono avere, inoltre, un particolare retrogusto, un sapore inizialmente non gradevole, che poi ci lascia un gusto molto buono. Ognuno di noi sviluppa sensibilità molto diverse: la cultura, la famiglia, la terra a cui apparteniamo creano in noi preferenze o addirittura rifiuti. I cibi, con i loro sapori, plasmano il nostro gusto. La vita, poi, ce li fa interpretare in modo personalissimo. La storia e i legami affettivi vissuti li caricano di significati infiniti.

La funzionalità dei calici gustativi contenuti nelle papille discerne tra dolce, salato, acido, amaro e umami (il cosiddetto quinto gusto, dovuto alla presenza di glutammato). La parte anteriore della lingua è dotata di un recettore che percepisce il dolce, quella posteriore avverte l’amaro, le aree laterali sono sensibili al salato e all’acido.

Postura

Si, ho scritto bene. Postura.
È vero. Non è uno dei sensi. Ma la nostra postura, il nostro approccio fisico al cibo influenza la nostra percezione di esso.

Mangiare in piedi velocemente, ingurgitando un cibo, senza dare il tempo ai nostri recettori gustativi di attivarsi non è proprio un’esperienza memorabile.

Bere un “caffè al volo”, in piedi al bancone del bar, nel caos mattutino, non permette nemmeno di capire cosa abbiamo bevuto. Il nostro corpo, sotto stress, non ha il tempo e non trova le condizioni fisiologiche per valutare correttamente ciò che abbiamo ingerito.

Comfort food

Hai mai sentino parlare di comfort food?
È il cibo che appaga stomaco e anima. Come sempre, occorre dedicare il tempo necessario per godere di queste piccole e grandi sensazioni.

Ne riparliamo quindi al prossimo appuntamento. Proverò a stimolarvi salutari appetiti!!!

Odori d’Inverno

Brassica est quae omnibus oleribus antistat;
eam esto vel coctam vel crudam.
(È il cavolo quello che supera ogni altro vegetale;

si può mangiare sia cotto, sia crudo).
Marco Porcio Catone,

De agri cultura, II sec. a.e.c. 

C’è una cosa che, quando entro in casa di amici o conoscenti, noto con una certa nostalgia: la mancanza di odori. Da bambino, quando andavo a fare visita a qualche famiglia, sentivo che ogni abitazione aveva un suo particolare odore, caratteristico, e quasi sempre intimamente legato alla cuoca di casa: la mamma.

A volte mi capitava di concentrarmi su quell’insieme di aromi che si fondevano in un unico tratto, distintivo di quella famiglia, per cercare di individuarne gli ingredienti. Ecco dunque che a casa di Salvatore si respirava una fragranza di biscotti appena sfornati e frutta cotta, che si univa però all’odore tipico del minestrone. Dall’amico Giuseppe, che viveva in fattoria, si respirava aria di cotechino e panna di latte pronta per fare il burro, e così via…

Ora non riesco più a fare questo “gioco”. Non si cucina più e spesso non lo si fa più perché il fritto fa puzza, o perché mal si sopportano le fragranze di certe verdure, primo fra tutti quello del cavolo, seguito da quello della verza e così via.

Ricordo che nel piccolo appartamento dove vivevo da piccolo, stipato con la sorella a dormire in un’unica stanzetta e con un cucinino dove mia madre sostava per la maggior parte della giornata, mio padre aveva installato, in un terrazzo chiuso con i doppi vetri, una piccola cucina da campo dove si cucinavano quei cibi che altrimenti, così almeno mia mamma pensava, avrebbero ammorbato di un odore pesante e umido i muri di casa.

Invece io amavo quegli effluvi e mi sedevo su un piccolo sgabello ad osservare i riti della cuoca, respirando a pieni polmoni l’odore del cotechino che galleggiava a fuoco lento o annusando il profumo del cavolo mentre “sfrigolava” in padella.

Giochi e pensieri di bambino, certo, ma adesso quando entro in una casa, priva di qualsiasi odore, anonima, mi sembra che manchi la vita e che il profumo artificiale di un deodorante abbia legato, come in un incantesimo, i padroni di casa, addormentandoli per sempre in una quotidianità abitudinaria.

Buongustai ancor prima di nascere?

Fin dal secondo trimestre di gravidanza iniziano a funzionare le papille gustative. La dieta della futura mamma incide sulla composizione del sangue materno e, di conseguenza, influisce sul liquido amniotico, attraverso il quale il feto riceve i diversi stimoli gustativi.

I bambini riconoscono fin dai primi giorni di vita gli aromi tipici dell’alimentazione materna al punto che, normalmente, l’aroma di determinati alimenti capaci di modificare il sapore del latte (per esempio l’aglio) non disturba i lattanti la cui madre ha consumato quegli stessi alimenti durante la gravidanza.

E dopo?

Dopo lo svezzamento il bambino viene a contatto gradualmente con una grande varietà di alimenti, parallelamente all’evolvere delle sue capacità digestive per l’arricchimento del corredo enzimatico.

Durante l’infanzia si imprimono ulteriormente le iniziali esperienze percettive del gusto che verranno successivamente influenzate dal contesto sociale, culturale e ambientale.

EDUCARE AL GUSTO

Per educare al gusto il bambino è bene anche ricorrere ai meccanismi della suggestione sociale, proponendo gli alimenti sgraditi in un contesto comune, dove adulti o altri bambini dimostrino di apprezzarli.

Un esempio pratico: se un bambino non mangia la frutta, gli si può riservare un posto, durante la refezione scolastica, al tavolo con dei compagni che invece la apprezzano.

Successivamente, a casa, i pasti si consumeranno a televisore spento, non solo per ridurre l’impatto di messaggi pericolosi, ma anche perché il rumore in sé distoglie l’attenzione dal pasto e dalla sua degustazione, oltre a far percepire meno l’intensità del gusto dolce e salato.

È certo però che per molti bambini alcune verdure, anche se sapientemente trasformate in una gustosa crema o minestra, sono state nemiche in duelli combattuti a spada tratta, o meglio a forchetta tratta.

Verso l’ora di cena si ha fame, ma se dall’uscio penetra un vago odore di cavolo, di broccolo, di rape, allora è il giusto pretesto per sentirsi poco bene, aver nausea, mal di pancia, pur di evitare la penitenza del verde cibo. Crescendo, i gusti cambiano e generalmente si inizia sempre più ad apprezzare la genuinità dei cibi freschi, salutari.

Testa di cavolo, …c’entri come i cavoli a merenda, …ma fatti i cavoli tuoi!

Mi riferisco al cavolo e all’intera famiglia delle crucifere (cavolfiore, broccoli, broccoletti, verze, cavolini di Bruxelles, cime di rapa).

Si è abituati a pensare che le verdure siano figlie esclusive della bella stagione: la primavera con i suoi boccioli, promesse di bontà che l’estate con le sue lunghe giornate di luce calda e sole forte farà arrivare a giusta maturazione.

Re Cavolo, invece, se ne frega. Anzi, a farlo stare bene è proprio il freddo e il gelo, che ce lo consegna turgido e maturo, al massimo della forma. Per mantenere intatti i suoi elementi antinfiammatori e nutritivi è importante non eccedere nei tempi di cottura.

I cavoli sono costituiti da composti contenenti zolfo, che ne caratterizzano l’odore non certo gradevole, ma anche da sostanze antiossidanti, quali la vitamina C (in 100 g se ne trova circa 50 mg), gli indoli, protettivi verso diversi tipi di cancro, il gefarnato, che agisce come rinforzante sulla mucosa dello stomaco, nonché da sali minerali e fibre alimentari.

Come rovescio della medaglia i suoi tiocianati possono interferire con l’assorbimento dello iodio in persone con problemi di funzionalità tiroidea. Infine, apportano uno scarso contributo calorico (25-30 kcal per 100 g).

Salviamo capra e cavoli!

Per ridurre l’odore spiacevole che emana il cavolo quando sta cuocendo, oltre che per mantenere il più possibile intatte le sue proprietà, è consigliabile farlo rapidamente scottare a vapore per poi continuare la cottura in forno, coprendo la pentola con un foglio di carta d’alluminio.

Opportuno anche aggiungere un cucchiaio di farina bianca e qualche goccia di limone nell’acqua di cottura. Se di piccole dimensioni e freschissimo, è gustoso anche crudo in pinzimonio e, se riusciamo a resistere all’insana attrazione per pomodori e melanzane cresciuti senza nemmeno un minuto di sole, scopriremo che un’insalata di cavolo cappuccio regala da sola oltre la metà del fabbisogno quotidiano di vitamina.

Pur appartenendo alla famiglia dei cavoli, il cavolfiore se ne distacca per la delicatezza del sapore, la digeribilità e la consistenza carnosa che gli permette di essere facilmente impiegato in purea, pasticci, flan, crocchette, sformati, frittelle, gratin.

Ma l’olfatto non è l’unico fattore in gioco quando parliamo di emozioni sensoriali e cibo… Lo scopriremo insieme la settimana prossima! 🙂

Vi invito inoltre a seguirmi In Tv su Canale Italia martedì 26 gennaio dalle ore 20 alle 21 su Canale Italia 83 e su Sky Canale 937 dove prenderò parte al programma televisivo “Sulle ali della salute. L’argomento da trattare sarà “la sindrome dell’intestino irritabile”.