Pasta

Tutto quello che vedete lo devo agli spaghetti.
(Sophia Loren)

Spero che certi consigli dietologici, presentati insieme a ricordi piacevoli, rendano più interessante la lettura. Un tempo la preparazione dei pasti era un rito quasi più importante della loro consumazione. Era un momento di armonia familiare che sembrava accrescere il benessere per la genuinità del cibo che sarebbe giunto sulla tavola. Con il tempo mi sono persuaso che il cibo più sano e genuino, per essere apprezzato, debba armonizzarsi con una atmosfera calda e accogliente…e rigorosamente a Tv spenta.

Probabilmente questo è uno dei messaggi nascosti della dieta mediterranea.

Con le mani in pasta

Una cucina. Un tavolo. La spianatoia. Farina di grano duro, acqua, sale e le mani sapienti di mia madre. Con gesti antichi riuniva gli ingredienti, per trasformarli in quella che è considerata a ragione la regina della dieta mediterranea: la PASTA.

Il rito delle orecchiette: amabile connubio tra la sapienza delle mani e il gusto magico della pasta, nel segno della più orgogliosa tradizione italiana. Nella luce fioca della cucina, me ne stavo a cavalcioni su di una sedia con le braccia incrociate sullo schienale. Spesso mi chinavo ad osservare, quasi ipnotizzato, il ritmo delle dita che sembravano suonare una melodia che sapeva di sole, di campi di grano e del duro lavoro della terra, i cui frutti venivano trasformati dai contadini.

Mia madre sorrideva contenta del mio interesse e, avvicinando la mia sedia al tavolo, mi aiutava a tirarmi in piedi su di essa raccomandandomi attenzione nel muovermi. Certo in quella posizione andava meglio e riuscivo a vedere bene il piano delle meraviglie. Ero incantato da quei gesti fluidi e precisi e da come lei, dopo aver impastato a dovere, divideva il tutto in piccoli pezzi e, con una lieve pressione del pollice ed un delicato movimento rotatorio su ognuno di essi, trasformasse un informe pezzetto di pasta in quella calottina elegante che è l’orecchietta.

Per i “pizzarieddi”, una sorta di corto boccolo sottile, mia mamma poggiava sul piccolo pezzo di pasta un ferretto quadrangolare (poteva anche essere parte della stecca di un ombrello fuori uso) e lo faceva rotolare sulla spianatoia con il palmo della mano. La pasta si allungava, il ferretto, chiamato “frizzulu”, veniva tolto e questo “boccolo” era pronto per la cottura. È un lavoro impegnativo e i singoli pezzi di pasta vengono fatti uno ad uno.

Questa è una delle ragioni per cui, in occasione di grandi eventi o feste tradizionali, si riunivano le forze di familiari e parenti. Così, oltre ad essere un importante momento di compagnia, queste occasioni consentivano una razionale organizzazione del lavoro, in cui ciascuno eseguiva il compito assegnato, e il risultato finale, cioè la pasta pronta per essere cotta, era raggiunto con gioia e soddisfazione. Si potrebbe dire che, e non solo in questi frangenti, per un lavoro condiviso si fatica la metà e la resa è doppia.

Pasta fatta in casa

E’ facile dire pasta e soprattutto pasta fatta in casa, ma forse bisognerebbe dire “PASTE” perché non c’è regione d’Italia, dal nord al sud, che non ne abbia una sua tipica.

Al sud con la semola di grano duro, acqua e sale, un impasto più “faticoso” da lavorare; al nord, in Emilia, con le uova, sfoglie sottilissime tirate con il mattarello, arte che veniva insegnata alle bambine come gioco e che non si dimenticava più, come quando si impara ad andare in bicicletta. E ancora oggi in Romagna, in qualche festa nuziale, lo sposo deve dar prova di saper stendere una sfoglia.

Non dobbiamo dimenticare, poi, certi particolari attrezzi per fare la pasta: il torchio, per i passatelli in brodo in Emilia e in Veneto, mia patria d’adozione, il “bigolaro”, panca sulla quale ci si siede a cavalcioni per girare i “manubri” di un congegno che farà uscire i bigoli, una sorta di spaghetti abbastanza grossi e ruvidi per poter catturare bene il sugo d’anatra con cui vengono tradizionalmente serviti.

Pasta, un alimento che ci rappresenta tutti, sempre di grano duro, perché quella di grano tenero, che pure è consentita da anni in Europa, non tiene bene la cottura e per un italiano (e per fortuna, suggerisce il dietologo che è in me) la pasta scotta è un insulto, un’eresia.

Non è però un alimento completo, essendo prevalentemente composta da carboidrati ed essendo la sua quota proteica sprovvista di alcuni aminoacidi essenziali. Per bilanciarla, però, è sufficiente integrare la sua comunque discreta quota proteica con piccole porzioni di cibo di origine animale o legumi (indimenticabile, per me, la pasta e fagioli o la pasta e ceci della nonna Agata).

La semola con cui si fa la pasta, idratata, è ricca di amido e glutine e la ricchezza proteica del grano duro permette di tenere meglio la cottura. Si consiglia di cuocerla “al dente” perché così obbliga alla masticazione, fondamentale per digerire meglio e allontanare la fame, prolungando l’effetto saziante.

Inoltre, con questa cottura, il rilascio di amido avviene più lentamente e si sa che, in soggetti predisposti, i carboidrati metabolizzati troppo rapidamente, provocano contraccolpi proporzionalmente insidiosi sul fronte della glicemia.

A scanso di equivoci: la pasta non deve assolutamente essere eliminata dalla nostra tavola. La porzione ideale è di 80-100 g a crudo, anche perché la pasta, cuocendo, raddoppia il suo volume. Questo fa sì che gli stimoli della fame si avvertano più tardi rispetto ad un pasto in grado di fornire gli stessi carboidrati ma con altri nutrienti (riso, polenta, pizza, pane).

La prossima settimana riprendiamo il discorso con cenni storici e ulteriori consigli gastronomici.

CEREALI

“Dimenticare come zappare la terra
e curare il terreno significa
dimenticare se stessi.”
MAHATMA GANDHI

“Sono sicuro che se vivessi in campagna per sei mesi
diventerei un tipo così semplice,
che nessuno si accorgerebbe più di me.”
OSCAR WILDE

“La messe dei campi altrui è sempre più copiosa
e il bestiame del vicino ha la mammella più rigonfia.”
OVIDIO

Un po’ di storia.

Paleo Dieta: di cosa si nutrivano i nostri antenati?

La Paleo Dieta è stata ricostruita partendo dall’assunto che lo scatto evolutivo dell’uomo sarebbe avvenuto in concomitanza con l’introduzione della carne nell’alimentazione dell’uomo primitivo. In realtà è davvero difficile ipotizzare cosa effettivamente mangiassero gli uomini del Paleolitico.

Ci sono stati ritrovamenti che fanno ipotizzare che la dieta dei nostri antenati non fosse poi così diversa da quella di molti primati odierni (cibo reperibile in natura, ovviamente, non di produzione industriale) e che verosimilmente esistessero diverse diete primitive in base alle stagioni, alle latitudini e alle diverse disponibilità di cibo.

L’uomo del Paleolitico raccoglieva bacche e frutta, ma anche semi di grano, di orzo e di altri cereali, oppure si nutriva di legumi. Probabilmente egli si accorse che i semi, cadendo nel terreno, davano vita a delle nuove piante. Così iniziò ad osservare il ciclo di vita dei vegetali ed iniziò a non consumare più tutti i semi raccolti, ma a conservarne una certa quantità per poterli piantare e coltivare. È in questo modo che l’uomo scoprì l’agricoltura.

Non è “farina del mio sacco”, fu Charles Darwin, reduce da un lungo viaggio intorno al mondo, che affermò che le piante sono il mezzo alimentare più antico e che la carne non è mai stata l’alimento principale. Di certo, anche grazie al prezioso lavoro femminile, la semina e il raccolto hanno scandito la vita attraverso i millenni fino ai giorni nostri.

Non è mio intento auspicare che tutti diveniamo vegetariani né di prospettare scenari di un mondo senza allevamento animale. E’ innegabile, tuttavia, che i cereali oggi rappresentino, a livello mondiale, la principale fonte alimentare. Le percentuali attuali di consumo dei diversi cereali vede sul podio il frumento (44%), seguito da riso (37%) e mais (12%). Tra quelli consumati in minor quantità si annoverano l’orzo, il farro, l’avena, il sorgo, il miglio, la segale e molti altri tra cui gli pseudocereali, come la quinoa e il grano saraceno.

Caratteristica principale dei cereali è sempre la presenza di un quantitativo elevato di carboidrati (in particolare amido), un basso contenuto lipidico e un tenore proteico molto variabile, a seconda del cereale o pseudocereale preso in considerazione. Inoltre, la concentrazione di lipidi, proteine, fibre, vitamine e minerali cambia radicalmente se il cereale è integrale (composto quindi da crusca, germe ed endosperma) o totalmente raffinato, in cui l’unico elemento presente è l’endosperma. La caratteristica più importante dei cereali integrali è sicuramente la ricchezza di fibre, alla quale si aggiunge la presenza degli importanti micronutrienti.

In virtù di queste peculiarità, i cereali integrali migliorano la funzionalità dell’intestino, aiutano ad alzare le difese immunitarie, riducono il rischio di malattie cardiovascolari, abbassano l’indice glicemico, riducono i processi infiammatori e aiutano a prevenire i tumori al colon. I cereali integrali sono utili anche nel tenere sotto controllo il peso. Essi, se inseriti in una dieta equilibrata, oltre ad apportare nutrienti fondamentali, sono alimenti che riescono a dare un adeguato senso di sazietà, che, a sua volta, permette di non esagerare con il cibo.

Modalità di consumo

Pur largamente impiegati per l’alimentazione animale, i cereali sono consumati dall’uomo in diversi modi. Senza il passaggio della macinazione, i chicchi interi possono essere usati in risotti, minestre, insalate (per esempio riso, farro e orzo). Sotto forma di farine, possono essere utilizzati per la produzione di pasta, pane, crackers, biscotti e altri prodotti da forno (soprattutto farina di frumento), ma anche farro, mais e riso. Sotto forma di fiocchi, possono essere assunti come prodotti dietetici, per la colazione o per l’infanzia (avena, mais, riso). I semi possono essere usati per ricavarne l’olio (mais, riso), ma anche per la produzione di birra e di superalcolici.

Quanti cereali integrali mangiare al giorno?

Gli esperti raccomandano l’assunzione di 30 grammi di fibre al giorno e i cereali sono un valido alleato per il raggiungimento di questa quota. Per tutti i suddetti motivi l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) consiglia di aumentarne il consumo per contrastare diverse patologie tra cui l’obesità, le malattie cardiovascolari e il diabete.

Alcuni cereali come il grano, il farro, l’orzo e la segale sono anche fonte di glutine, un componente proteico che conferisce elasticità e che è particolarmente presente negli alimenti vegetali che sostituiscono le proteine animali, come, ad esempio, il seitan. In soggetti ipersensibili il glutine può, però, causare reazioni avverse come la celiachia (un’intolleranza alimentare) e la gluten sensitivity (un’ipersensibilità) e per questa ragione è necessario seguire uno specifico regime alimentare gluten-free.

Fatta questa doverosa premessa di esclusione verso chi è affetto dal morbo celiaco, grazie alle loro proprietà e caratteristiche nutrizionali, i cereali (in particolare integrali) rappresentano l’alimento alla base della piramide alimentare della Dieta Mediterranea, insieme alla frutta, alla verdura e all’olio extravergine d’oliva. Pertanto, andrebbero consumati quotidianamente ad ogni pasto. Ovviamente è sempre doveroso il richiamo al senso della misura, come già insegnava Orazio col suo“est modus in rebus”.

Se è vero che il consumo equilibrato e regolare dei cereali risulta benefico per la nostra salute, è altrettanto vero che l’abuso risulta associato all’aumento del rischio di sviluppare alcune patologie tra cui l’obesità, il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica. Per far sì che i cereali restino un tassello fondamentale di una dieta equilibrata è utile, come del resto per ogni alimento, suggerire di adattare la frequenza di consumo e le porzioni adeguate in funzione dei bisogni del singolo individuo.

Con i prossimi articoli proverò a smontare un po’ della cerealifobia dilagante.

Nel prossimo numero leggerete di che pasta è il blog.