Vino

Nessuna poesia scritta da bevitori d’acqua
può piacere o vivere a lungo.
Orazio

Riflessioni storiche e sociali sul vino.

Precisazione doverosa: per integrare quanto ho scritto a riguardo, mi sono avvalso di una attenta rilettura dei sapienti articoli di Enzo Bianchi e di quelli, incisivi e didascalici, di Marino Niola.

La sacralità del vino: dall’alimento alla convivialità.

Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea proprio con il vino. Nella Bibbia si narra il mito di Noè, che, sopravvissuto alla catastrofe del diluvio universale, per primo, piantò e coltivò la vigna. La tavola eucaristica è un luogo di accoglienza di tutti, un luogo di inclusione. Gesù ha affidato al pane e al vino, simboli semplici, il ricordo di sé. “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”.

Per il Sacramento dell’Eucaristia, può essere usato solo vino spremuto da uve mature. Da sempre la Chiesa prescrive che, prima della Consacrazione, il celebrante aggiunga al vino “una piccolissima” quantità di acqua. Il Concilio di Trento (1545-1562) sostiene categoricamente la dottrina per cui essa acquisisce le proprietà del vino. In accordo con la sentenza e il parere di tutti gli ecclesiastici, quell’acqua, dunque, si converte in vino. A voler chiosare si potrebbe sostenere che, in origine, “Doc” era acronimo di “Denominazione d’origine Consacrata”.

Quindi, con il pane, l’elemento più basilare dell’alimentazione, viene condiviso il vino, gioia e consolazione che contraddistingue ogni comunione umana. Del resto, persino l’Islam, che proibisce ai credenti l’uso del vino, profetizza che nell’aldilà si berrà comunque vino raffinato.

Metafora del dialogo raffinato, finanche di tipo erotico, nel Cantico dei Cantici, il vino viene paragonato a baci e carezze.

Richiami storici: “Cenai con un piccolo pezzo di fragrante focaccia, ma bevvi avidamente un’anfora (un buon bicchiere…) di vino; ora l’amata cetra tocco con dolcezza e canto amore alla mia tenera fanciulla”. Anacreonte, 500 a.C

Il potere di-vino lega Gesù ai riti dionisiaci. Un tempo si asseriva che “chi beve vino è civile, chi non ne beve è barbaro“. Infatti il vino lo aveva portato Dioniso, dio dell’ebbrezza e del fermento vitale.

La storia della viticultura italiana è millenaria. Non a caso l’Italia si chiamava Enotria Tellus, terra del vino. Prodotto della terra, del lavoro faticoso e paziente della cultura dell’uomo, il vino non è necessario per vivere, anzi, si può vivere benissimo senza berlo. Però, bere insieme un bicchiere di vino, è un efficace tentativo di consolazione e un antidoto alla solitudine. Il segreto è il senso della misura e l’esercitarsi a una rigorosa disciplina per gustarlo con intelligenza. Con il vino si impara ad ascoltare, a intervenire nella conversazione conviviale e a vivere il momento del pasto senza imbarbarimenti, mettendo da parte tablets e telefonini, e lasciando spazio alle buone maniere. Se è vero che siamo quello che mangiamo è anche vero che il come mangiamo ha una grande importanza.

E allora la dietologia narrativa deve prevedere anche una specie di “ critica della degustazione pura” (…Kant si rivolta nella tomba) , ovvero una bevuta seria tra amici.

Continuando nelle citazioni: “Soltanto una cosa è più triste dell’uomo che mangia solo; ed è l’uomo che beve solo. Un uomo che mangia da solo somiglia a un animale alla mangiatoia. Ma un uomo che beve da solo, somiglia a un suicida”. Emilio Cecchi

Infine, la degustazione può essere intesa come lettura intellettuale del vino, ben sapendo che il vino non si legge ma si beve. Pertanto, non credo sia necessario tradurre “Savoir reconnaître e savourer une bonne bouteille, c’est une marque de civilisation et de culture, comme de savoir apprécier una bon livre ou une belle statue”. Pierre Poupon, Nouvelles pensées d’un dégustateur.

Domanda: vi può essere un punto di incontro tra vino e salute?. Una convergenza, in nome del buon senso e di una corretta interpretazione delle evidenze scientifiche, trova, nella Dieta mediterranea e nei consumi moderati, degli alleati preziosi del prodotto enologico. il vino è parte della Dieta mediterranea, è espressione della nostra cultura, dei nostri territori e, soprattutto, del nostro stile di vita. Il vino in Italia non è solo una bevanda alcolica, è parte integrante di un modello mediterraneo che è l’antitesi dell’approccio compulsivo.

Personalmente sarei favorevole ad un miglioramento dell’etichettatura delle bevande alcoliche che includesse anche informazioni sulla quantità in grammi di alcol e zucchero, nonché il numero di calorie. Ad esempio, alcune linee guida europee, estremamente rigide, raccomandano, addirittura, di assumere non più di 25 g di zuccheri liberi al giorno, nel caso di un adulto con un fabbisogno calorico da 2000 Kcal. Questa quantità equivale a due bicchieri di medie dimensioni di vini tra i più dolci.

A titolo di promemoria, riporto la scala della dolcezza dei vini:

vini secchi 0-10 g/l
vini abboccati 10-30 g/l
vini amabili 30-50 g/l
vini dolci 50-180 g/l (fino ad oltre 250 g/l per i passiti molto concentrati),

Per gli spumanti valgono le diciture tradizionali derivate dagli Champagne, recepite dalla normativa europea.

Pas dosé: < 3g/l Dosaggio zero inferiore a 3g/l, ovvero lo spumante non ha subito aggiunta di zucchero dopo la presa di spuma
Extra-brut: compreso tra 0 e 6 g/l
Brut: <12 g/l
Extra-dry: compreso tra 12 e 20 g/l
Dry (Secco): compreso tra 17 e 35 g/l
Demi sec (Abboccato): compreso tra 33 e 50 g/l
Doux (Dolce): >50 g/l

Interpretazioni :

Una unità alcolica (UA) corrisponde a 12 g di etanolo: una lattina di birra da 330 ml, un bicchiere di vino da 125 ml, un bicchierino di liquore da 40 ml, contengono mediamente un’unità alcolica ciascuno. Da non oltrepassare per i Larn 2-3 drink al giorno nei soggetti di sesso maschile e 1-2 drink nei soggetti di sesso femminile.

Più severi i limiti fissati dall’European Code Against Cancer, cioè 20 g/die per gli uomini e 10 g/die per le donne.

La prossima settimana completeremo l’analisi filosofica, sociologica e anche nutrizionale sul vino.

Enodissea (terzo e ultimo atto)

Lui m’offerse splendidi doni:
d’oro ben lavorato sette pesi mi diede,
mi diede un cratere d’argento massiccio,
e vino, versandolo in anfore, dodici in tutto,
dolce e puro, divina bevanda; nessuno
lo conosceva dei servi e delle ancelle di casa,
ma lui solo e la sposa e la dispensiera fedele.
E quando bevevano quel vino rosso, dolcezza di miele,
riempiva una sola tazza e in venti misure d’acqua
mischiava; e un odore soave dal cratere odorava,
divino; allora starne lontani non era caro davvero.

Odissea, libro IX. traduzione di Rosa Calzecchi Onesti

Fu al culmine di cotale tormento
che sorse in Bacco irritazione;
decise tosto un suo intervento
e prese dell’Olimpo la direzione.

Che fu di Zeus al cospetto,
usò tutta la sua eloquenza;
espose dunque la questione di getto
ed esordì: “Sua eccellenza,
credo che ora si stia esagerando,
mi riferisco al collega Poseidone,
che sta un pò troppo perseguitando
il mio preferito, del vino il campione.

Digli dunque di farla finita
al tuo esperto di gamberi e calamari,
se non vuoi che ti cambi la vita
e ti renda i piaceri assai rari.

Libera, orsù, il mio protetto
con olimpico decreto immediato,
se non vuoi che del vino, tuo diletto,
tu debba per sempre esser privato”.

Fu per scongiurar siffatto rischio
che Zeus agì con decisione:
dalla vetta dell’Olimpo fece un fischio,
convocando innanzi a sè Poseidone,
al quale riservò una gran strigliata,
agitando fulmini e saette,
ordinandogli tosto la ritirata
da sì stupide, infantili vendette.

Arrivò, allora, il sospirato momento
che sembrava precluso da un destino rio;
finì per Ulisse il lungo tormento,
finalmente toccò il suolo natio.

Muovendo i primi passi in terra itacese,
cominciò a sentire voci su voci
e non fu bello ciò che apprese
a riguardo dei principi Proci,
quali i perfidi Antinoo ed Eurimaco,
che nella real casa sostavano ognora,
tenendo in scacco il figlio Telemaco
ed insidiando la sua signora:
Penelope la triste, chiusa in una stanza,
che del ritorno del consorte amato
avea perso ormai la speranza,
essendo troppo tempo ormai passato.

I Proci insistevano, con le loro facce toste,
provocandole grande turbamento,
e le ripetevano nuziali proposte
che a lei suonavan di Ulisse tradimento.
Ma Ulisse, cupo di rabbia e di sommo rancore,
non consente di subir disdetta;
in silenzio, ma con sacro furore,
prepara inesorabile vendetta.

Bacco gli muta il suo apparire;
giunge alla reggia insieme a suo figlio;
qui si accendono tutte le sue ire
ed affila mentalmente il suo artiglio.
Dai vili Proci viene schernito,
mentre sosta con il fido Eumeo;
ma ormai ha deciso di Penelope il marito
partecipare al regale torneo.

Non tendono l’arco i Proci, poveretti,
pur impegnandosi con tutte le forze!
i loro tentativi risultano negletti
e fan la figura di tenere scamorze.

Tocca ora a Ulisse, in mendico sembiante:
ei tende l’arco con abilità
intanto Dioniso osserva vigilante
e scocca la freccia con facilità:
si allunga dei presenti l’attonito sguardo
incredibilmente ad ammirare
il veloce penetrante dardo
dodici botti in fila perforare.

Ora riconoscono Ulisse con stupore:
è lui, potente come un toro,
che esprime tutto il suo furore;
e per i Proci son cavoli loro!

Ormai placata è la sua ira;
scende dalle scale la sua consorte;
egli la guarda, la contempla, la ammira
e di entrambi il cuore batte forte.

Ah, quale struggente emozione
si fonde insieme a immensa gioia!
Penelope abbraccia con devozione
l’eroe tornato dalla guerra di Troia.

Decidono così i due di festeggiare
la ritrovata bramata unità;
voracemente si mettono a mangiare
e a bere vino a volontà.

Si spengono le luci, finita è la festa,
attesa per anni con impazienza;
ora una cosa i due hanno in testa:
porre rimedio a sì lunga astinenza.

E mentre Bacco fa furbo l’occhiolino,
c’è ancora tempo per un ulteriore goccino. …

La prossima settimana mi “avventuro” in una dissertazione personale, sempre sul tema vino.