IL LATTE (IV parte)

L’uomo è l’unica creatura che consuma senza produrre.
Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l’aratro,
non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli.
E tuttavia è il re di tutti gli animali.

George Orwell

E’ vero che il latte è cancerogeno?

In questo breve articolo esaminerò l’argomento sotto vari punti di vista sapendo, per esperienza, che tutto quanto riguarda la salute, e soprattutto l’alimentazione, merita grande prudenza e un approfondimento corretto.

Riguardo al latte, una precisazione doverosa: nessuna organizzazione internazionale per la Salute ha mai inserito il latte o i latticini nella lista degli alimenti considerati “cancerogeni” come è accaduto, ad esempio, per le carni lavorate.

Detto questo, il contenuto proteico di latte e latticini va comunque considerato e sappiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre organizzazioni internazionali per la lotta ai tumori, sconsigliano fortemente l’abuso di proteine animali nella dieta.

Tornando come sempre al mio “cavallo di battaglia”, nella dieta mediterranea originale, tuttora riconosciuta come modello universalmente valido per una corretta alimentazione, i latticini erano poco presenti. Nei Paesi affacciati sul Mediterraneo, l’allevamento e la pastorizia non erano particolarmente diffusi e si praticava molto di più la pesca. Pertanto, latte e latticini rappresentavano solo una piccola parte dell’alimentazione umana.

Tumori?

Uno studio ormai datato, il China Study, ha dimostrato, ma solo in tests effettuati sui topi, che la caseina presente nel latte può promuovere delle infiammazioni e potrebbe sostenere la crescita del tumore murino. Certo, trasferire questi risultati sugli esseri umani può portare a degli errori di valutazione. Si è spesso tirato in ballo, per questi effetti, anche l’IGF1. Però l’IGF-1 è presente nel latte in minime quantità e va poi precisato che, secondo alcuni studi, l’incremento di questo fattore di crescita, introdotto nell’organismo con il latte, non incide più di quanto potrebbe incidervi il latte materno. Studi puntuali e rigorosi non evidenziano alcun rapporto, ad esempio, tra latte e tumore della prostata. Insomma, usando una metafora giurisprudenziale, possiamo dire che il latte è assolto, perché il fatto non sussiste.

Ad ogni modo, si può dire che dei latticini, come della carne rossa e soprattutto della carne trasformata, non si dovrebbe abusare. Questo è il messaggio che vorrei far passare: latte e latticini non sono assolutamente un veleno, ma è bene non eccedere nel loro consumo.

Parlando delle differenze fra il latte che si beve oggi e quello del passato, cito l’eventuale rischio dovuto ai farmaci impiegati negli allevamenti intensivi. Al riguardo, si potrebbe aprire un discorso molto ampio sui cambiamenti avvenuti negli allevamenti negli ultimi anni. Posso però sostenere con relativa certezza che non ci sono particolari motivi di allarme, in quanto, sul latte prodotto in Italia, vengono eseguiti tutti i controlli possibili riguardo al suo contenuto in farmaci e antibiotici.

Certamente è opportuno fare una doverosa precisazione che, però, sempre per correttezza, andrebbe estesa a quasi tutti i prodotti alimentari (pane, pasta, frutta, verdura, pesce, carne….): è chiaro che il latte che beviamo oggi, proveniente da mucche selezionate per essere grandi produttrici in termini quantitativi, non è lo stesso che bevevano i nostri avi o i pastori di un tempo. Le mucche non sono le stesse del passato, così come sono completamente cambiati i metodi di allevamento e di produzione lattiero-casearia e sono cambiati, inoltre, i tipi di caseina e il loro contenuto percentuale.

In ogni caso, sul fatto che le caratteristiche nutrizionali del latte odierno siano peggiorate, il sospetto rimane. Le selezioni cui sono stati sottoposti gli animali non hanno avuto lo scopo di migliorare la qualità del latte, bensì quello di aumentarne esclusivamente la quantità.

Moderazione

Come sempre, il forte aumento di produzione è andato a scapito della qualità. In conclusione, è sempre fondamentale seguire la regola aurea della moderazione. Come per l’assunzione di qualsiasi altro alimento e per ogni forma di nutrizione, occorre che vi sia varietà e non vi siano eccessi. Seguendo questa semplice regola, un soggetto sano, nelle giuste quantità e scartandone solo un ristretto numero, può assumere qualunque alimento.

Vale quindi, anche per il latte e i suoi derivati, la regola aurea della quantità-qualità. Non esagerare nel loro consumo e preferire latticini di qualità è quindi un consiglio saggio. In sintesi, sarebbe opportuno non fare del consumo di latte un’abitudine quotidiana.

Calcio

Infine è utile ribadire che in tenera età c’è un maggiore fabbisogno di calcio, perché nel bambino si sta strutturando lo scheletro.

Pertanto, allo scopo di ridurre la perdita di questo minerale, dovuta all’effetto delle proteine animali, è utile inserire il consumo di alimenti ad alto contenuto di calcio all’interno di una dieta molto ricca di vegetali. Nell’adulto, questo consumo non è necessario perché il fabbisogno di calcio è minore, salvo che in alcuni stati fisiologici particolari, come ad esempio la gravidanza. Da sfatare, inoltre, la credenza, sbagliata, secondo la quale senza il latte non si possa crescere. Esso non è un veleno, dunque, ma non è neppure un alimento imprescindibile.

Toccasana per le ossa?

Sì ma, dopo lo svezzamento, non è affatto indispensabile per la salute, e fortunatamente, non è l’unica fonte di calcio.

Alimenti ricchi di calcio

Solo a mò di esempio, una fonte di calcio è anche l’acqua, specialmente se ricca di bicarbonato di calcio. Un’altra idea errata è che il consumo di latte provochi una perdita di calcio delle ossa in seguito all’acidificazione del sangue, contribuendo quindi all’insorgenza dell’osteoporosi. Ma in realtà non è provato che esista una relazione di causa-effetto tra il livello di acidità della dieta e la salute delle ossa. E se dovessimo affermare che quando l’acidità aumenta, cresce anche la quota di calcio eliminata attraverso le urine, dovremmo allo stesso tempo dire che, in compenso, viene stimolato il suo assorbimento intestinale. Pertanto, il bilancio totale del calcio non subirebbe modificazioni significative. Su osteoporosi, menopausa, latte e microbiota intestinale, tipi e derivati del latte, ritorneremo più avanti.

La prossima settimana affronteremo il tema alimentazione e fertilità.

IL LATTE (III parte)

“Nella vita tutto consiste nel poter digerire bene.
Così l’artista trova l’ispirazione,
i giovanotti la voglia d’amare,
i pensatori le idee luminose
e tutti quanti la gioia di stare al mondo.”

Guy De Maupassant

Il latte fa bene o male?

L’argomento suscita spesso un acceso dibattito, il più delle volte controverso. Provo a riportare il mio punto di vista riguardo al consumo di latte in età adulta, cercando di “limare” i dubbi e la diffidenza riguardo alla sua presunta nocività.

Dal punto di vista evolutivo, si stima che l’introduzione di questo alimento sia iniziato parallelamente all’addomesticamento degli animali, che, insieme alla coltivazione dei primi cereali, risale a circa diecimila anni fa. Questa rivoluzione nella nutrizione umana ebbe luogo contemporaneamente in diverse zone del mondo. La Mezzaluna fertile, ovvero la valle del Nilo e la Mesopotamia, fu certamente una delle prime aree in cui si verificò questo fondamentale passaggio evolutivo dei nostri antenati che, da raccoglitori e cacciatori, si trasformarono prevalentemente in agricoltori, pastori e allevatori.

L’uomo cominciò, quindi, a consumare il latte degli animali che allevava.

Scene in un fregio che ornava il tempio di Ninhursag, Tell al Ubaid c. 2475 a.C.. Il fregio, mostra quattro uomini e due coppie di vacche e pecore al di fuori di un recinto. I Sumeri consideravano molto importante la mungitura e la trasformazione del latte.

La settimana scorsa abbiamo evidenziato che il latte è il primo alimento con cui veniamo in contatto. Esso ci permette di crescere e, come noi, anche qualunque altro piccolo di mammifero sopravvive proprio perché chi lo ha messo al mondo lo allatta. Il piccolo è, ovviamente, in grado di assorbire e digerire questo nutrimento che lo aiuta a crescere.

Questo, ovviamente, può valere a maggior ragione anche per l’essere umano in età adulta e, infatti, l’essere umano è l’unico mammifero a bere latte anche dopo lo svezzamento. Al contrario, i bambini che nascevano prima che l’uomo diventasse allevatore, non potevano bere latte dopo lo svezzamento semplicemente perché non era un alimento disponibile, eppure crescevano e arrivavano all’età adulta senza particolari carenze. La vita media era più bassa, è vero, ma lo era per altre ragioni, non certamente perché non si beveva il latte.

Tuttavia, se è vero che l’essere umano è l’unico mammifero che beve latte anche dopo lo svezzamento, è pur vero che è l’unico mammifero dotato di mutazioni specifiche, sviluppate nel corso degli ultimi diecimila anni, che permettono di tollerare il lattosio anche in età adulta. In origine, in svariate zone del mondo, dopo il periodo dell’allattamento, gli individui persero la lattasi, l’enzima necessario per digerire il lattosio.

Tuttavia, in altre zone, specialmente nell’emisfero settentrionale, si presentò una mutazione genetica che rese tolleranti al lattosio anche gli adulti. Questo consentì alle popolazioni che vivevano nella parte settentrionale del mondo di continuare a consumare il latte e i suoi derivati anche da adulti, garantendo una fondamentale fornitura di calcio e vitamina D, che non sarebbe stato possibile assimilare diversamente.

In effetti, questa circostanza spiega perché, per le popolazioni del Nord Europa, dove non c’era grande disponibilità di altri alimenti ricchi di questi fondamentali nutrienti, si sarebbero selezionati i soggetti portatori di una così importante caratteristica genetica, pur originariamente dovuta a una mutazione casuale. Dono compensatorio della natura per colmare la carenza di sole? La distribuzione di questa peculiarità genetica in effetti non è omogenea, ma varia considerevolmente fra le etnie e fra i singoli individui. Sta di fatto che, nel Nord Europa, l’incidenza di intolleranti al lattosio è minima, mentre è molto più alta in Asia e in Africa.

Statistiche alla mano, circa il cinquanta per cento degli italiani è geneticamente intollerante al lattosio. Questo dato, allargato su scala mondiale, conferma che l’essere umano, tuttora, è evolutivamente disadattato al consumo di latte, pur restando chiare differenze fra individui e popolazioni diverse.

Il lattosio è uno zucchero che, se assunto da un portatore di intolleranza ad esso, causa problemi legati soprattutto alla sua fermentazione. Esso raggiunge, infatti, i distretti più lontani dell’intestino, fino al colon, dove normalmente non dovrebbe arrivare. In quest’area fermenta, producendo gas e gonfiore, richiamando acqua, e dando origine a conseguenze spiacevoli quali la diarrea osmotica. Queste problematiche sono però legate ai sovraccarichi di lattosio e non a delle piccole quantità. Da sottolineare che la lattasi, l’enzima che scinde il lattosio, è un enzima inducibile.

Pertanto, se un individuo geneticamente tollerante al lattosio smette di bere il latte, diventa fisiologicamente intollerante ad esso perché la produzione di questo enzima si abbassa e diventa insufficiente. Tuttavia, la lattasi si può riattivare consumando il latte in piccole quantità per poi aumentarle progressivamente. Per i soggetti geneticamente intolleranti, invece, la lattasi resta sempre insufficiente e quindi un sovraccarico di lattosio genera problemi.

Sempre per rigore divulgativo, va precisato che l’intolleranza al lattosio non è un’allergia e l’intollerante al lattosio non è obbligato a evitare totalmente latte e latticini. Si tratta di un’intolleranza quantitativa, pertanto è sufficiente evitare gli eccessi, per scongiurare il rischio di reazioni negative.

Oltre a questa eventualità, però, quando si subiscono interventi sul tratto digestivo, si impoverisce la quantità di lattasi a livello di quel tratto e, di conseguenza, la capacità di assumere latte senza problemi può ridursi. Nel periodo post-operatorio, tuttavia, è sufficiente attuare una rieducazione al suo consumo. Per chi perde del tutto la lattasi, o resta a lungo senza consumare latticini, esistono enzimi artificiali che possono essere introdotti per limitare questo problema. Quindi, da questo punto di vista, il latte, di per sé, non fa male e non è necessario eliminarlo dalla dieta.

Spesso si ritiene che l’avanzare dell’età determini un peggioramento della capacità di digerire il latte, ma questa associazione va smentita. Ci sono molti anziani che cenano con pane e latte, non è quindi vero che più si è anziani più il latte fa male. La buona digestione del latte non è legata all’età, bensì all’abitudine al suo consumo.

Un test molto efficace per svelare questa intolleranza è il “breath test”, un approccio rapido e non invasivo che permette una diagnosi certa.

La prossima settimana affronteremo l’argomento latte come potenziale “veleno bianco”.