L’augurio di un anno in cui possa trionfare la bellezza e che noi ci si possa meravigliare a contemplarla.
Che la sana noia sia un patrimonio di tutti, per combattere la competitività invidiosa, l’avidità ansiosa che ci rende obesi sia psicologicamente sia fisicamente.
La dieta promessa consiglia di rileggere la lirica “L’infinito” di Giacomo Leopardi.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Natale. Guardo il presepe scolpito, dove sono i pastori appena giunti alla povera stalla di Betlemme. Anche i Re Magi nelle lunghe vesti salutano il potente Re del mondo. Pace nella finzione e nel silenzio delle figure di legno: ecco i vecchi del villaggio e la stella che risplende, e l’asinello di colore azzurro. Pace nel cuore di Cristo in eterno; ma non v’è pace nel cuore dell’uomo. Anche con Cristo, e sono venti secoli, il fratello si scaglia sul fratello. Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino che morirà poi in croce fra due ladri? Salvatore Quasimodo
I polacchini in camoscio chiaro erano foderati di lana di pecora. I calzettoni coprivano i polpacci mentre i calzoni si fermavano poco sopra le ginocchia. Rimboccavo il cappottino di cammello alzando il bavero e completavo quella protezione con una sciarpa ben avvolta attorno al collo, in testa un caldo berretto di lana con il suo pon pon.
La mamma, tenendomi per mano, mi guidava nella passeggiata in centro città. L’aria, tersa e pungente, era comunque piacevole; le luci multicolori lampeggiavano in forma di rosoni e di Babbi Natale. I negozi erano tutti addobbati e quelli più “in” davano il benvenuto ai clienti con stuoie rosse di moquettes all’ingresso.
Avevo il naso quasi sempre all’insù a sbirciare le finestre delle case e da alcune di quelle finestre si intravedevano gli alberi di Natale illuminati da decine e decine di candeline accese. E poi, come di sfondo a tutto questo, nell’aria, un profumo intenso a completare quell’incanto: l’aroma inconfondibile dei dolci natalizi sfornati dalle panetterie e dai maestri pasticceri. Che si trattasse di panettoni o degli allora forse meno conosciuti pandori poco cambiava per me. Pregustavo già il sapore della pasta burrosa e tiepida, quel gusto asprigno dei canditi e quello dolce delle uvette che mi avrebbero aspettato sulla tavola natalizia.
Perché allora, al contrario di oggi, almeno a casa mia, il dolce di Natale si mangiava solo il 24 di dicembre, nel grande veglione che precedeva la Notte Santa. Malinconie per un tempo che non c’è più…. Ma ad accomunare passato e presente, ancora oggi, è la passione per il “DOLCE”. Quantomeno in questo, i bambini sono sempre uguali.
Cocktails irresistibili di religiosità e gastronomia, le qualità afrodisiache del dolce sono ben note e giustamente esaltate. Dolce è ancora peccato? Per i diktat estetici sì, i dolci, infatti, sono una bomba calorica.
Tanto per fare un esempio, sulle 100-120 viaggiano i cioccolatini dal ripieno molle e liquoroso che si vendono nei bar in confezione singola. Il cioccolato al latte, poi, fornisce circa 565 calorie per 100 gr. Certamente, anche per gli zuccheri, è bene parlare di “dose giusta” e di limiti particolari per chi ha patologie come il diabete. Sotto il profilo psicologico, occorre sottolineare che è dolce il latte materno e perciò, mentre assaporiamo il nostro bignè, torniamo indietro alla felicità originaria della fusione col corpo che ci ha generato, a quella che Freud ha individuato come la nostra prima esperienza erotica: la fase orale. Mangiare dolci gratifica, rasserena, consola, completa sensazioni piacevoli o allevia quelle di disagio. L’assunzione di zucchero reintegra rapidamente le riserve di energia e questo induce uno stato di calma e di rilassamento.
L’ipoglicemia, al contrario, rende nervosi, irrequieti e aumenta la propensione alla ricerca di cibo. Quando si mangia un dolce, si innesca un meccanismo di rinforzo che attiva la dopamina, il neurotrasmettitore coinvolto in tutte le sensazioni di piacere. Inoltre, quando mangiamo, si accende anche la memoria di quella determinata sostanza, fenomeno, questo, sempre presente pur variando da persona a persona; l’olfatto e il gusto, infatti, sono sensi primitivi e si sviluppano quindi molto presto nell’infanzia.
Per questo i ricordi legati ai profumi o ai sapori rimangono nella memoria e sono spesso associati non solo alla bontà del cibo ma anche a ciò che esso ha significato per noi. E i dolci significano coccole, affetto, ricompensa…
Fondamento gastronomico e culturale delle grandi feste religiose e della vita personale, nei giorni di Natale il gusto dolce è il più forte legame con la tradizione e con la famiglia. Ma sul significato del dolce, e del gusto dolce, ritorneremo più avanti.
Riprendo, invece, il tema del Natale e della Natività. Dalla tradizione germanica e nordica viene la scelta dei sempreverdi. I Celti ritenevano magica questa tipologia di alberi in grado di rimanere verde anche nel rigore invernale. All’albero di Yule, che potremmo definire l’origine dell’albero di Natale, venivano fatti doni; esso rappresentava la fortuna famigliare ed era simbolo di fertilità. La cultura dell’albero sempreverde era presente anche in ambiente greco-romano. Per i Greci, l’Abete Bianco era il simbolo della dea Artemide, protettrice delle nascite.
Il cristianesimo trasformò il culto pagano dell’albero sovrapponendovi un nuovo significato. Come il Solstizio d’inverno era il Dies Natalis Solis Invicti, così il giorno della nascita di Gesù era il momento di rinascita dell’umanità. In questo nuovo clima culturale lo stesso albero sempreverde, icona di immortalità, diventava l’albero di Cristo trasformato in simbolo di salvezza e di redenzione. Con il Cristianesimo l’albero di Yule smise di essere l’albero del solstizio e del Sole Bambino e diventò l’albero della nascita del Cristo.
Chi vuole un figlio dovrebbe concepirlo in dicembre. Questo, infatti, è il mese in cui i concepimenti registrano poi un più elevato tasso di natalità. È quanto emerge da uno studio condotto da un team di ricercatori americani, presentato in occasione del meeting annuale dell’American Society for Reproductive Medicine a Baltimora. Risulta che, quando le coppie concepiscono a dicembre o gennaio, hanno più probabilità di portare a termine con successo la gravidanza. Questo avviene perché, secondo i ricercatori, le mamme che rimangono incinte in quel periodo sono esposte maggiormente al sole dell’estate nella fase avanzata della gestazione e questo comporterebbe un aumento dei livelli di vitamina D che, a loro volta, favoriscono nascite sane.
Anche il blog celebra le festività natalizie e, nell’augurare anche un buon 2023, ricordo che, con il prossimo numero, affronteremo il capitolo “Dieta e Fecondazione”.
L’uomo è l’unica creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il re di tutti gli animali. George Orwell
E’ vero che il latte è cancerogeno?
In questo breve articolo esaminerò l’argomento sotto vari punti di vista sapendo, per esperienza, che tutto quanto riguarda la salute, e soprattutto l’alimentazione, merita grande prudenza e un approfondimento corretto.
Riguardo al latte, una precisazione doverosa: nessuna organizzazione internazionale per la Salute ha mai inserito il latte o i latticini nella lista degli alimenti considerati “cancerogeni” come è accaduto, ad esempio, per le carni lavorate.
Detto questo, il contenuto proteico di latte e latticini va comunque considerato e sappiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre organizzazioni internazionali per la lotta ai tumori, sconsigliano fortemente l’abuso di proteine animali nella dieta.
Tornando come sempre al mio “cavallo di battaglia”, nella dieta mediterranea originale, tuttora riconosciuta come modello universalmente valido per una corretta alimentazione, i latticini erano poco presenti. Nei Paesi affacciati sul Mediterraneo, l’allevamento e la pastorizia non erano particolarmente diffusi e si praticava molto di più la pesca. Pertanto, latte e latticini rappresentavano solo una piccola parte dell’alimentazione umana.
Tumori?
Uno studio ormai datato, il China Study, ha dimostrato, ma solo in tests effettuati sui topi, che la caseina presente nel latte può promuovere delle infiammazioni e potrebbe sostenere la crescita del tumore murino. Certo, trasferire questi risultati sugli esseri umani può portare a degli errori di valutazione. Si è spesso tirato in ballo, per questi effetti, anche l’IGF1. Però l’IGF-1 è presente nel latte in minime quantità e va poi precisato che, secondo alcuni studi, l’incremento di questo fattore di crescita, introdotto nell’organismo con il latte, non incide più di quanto potrebbe incidervi il latte materno. Studi puntuali e rigorosi non evidenziano alcun rapporto, ad esempio, tra latte e tumore della prostata. Insomma, usando una metafora giurisprudenziale, possiamo dire che il latte è assolto, perché il fatto non sussiste.
Ad ogni modo, si può dire che dei latticini, come della carne rossa e soprattutto della carne trasformata, non si dovrebbe abusare. Questo è il messaggio che vorrei far passare: latte e latticini non sono assolutamente un veleno, ma è bene non eccedere nel loro consumo.
Parlando delle differenze fra il latte che si beve oggi e quello del passato, cito l’eventuale rischio dovuto ai farmaci impiegati negli allevamenti intensivi. Al riguardo, si potrebbe aprire un discorso molto ampio sui cambiamenti avvenuti negli allevamenti negli ultimi anni. Posso però sostenere con relativa certezza che non ci sono particolari motivi di allarme, in quanto, sul latte prodotto in Italia, vengono eseguiti tutti i controlli possibili riguardo al suo contenuto in farmaci e antibiotici.
Certamente è opportuno fare una doverosa precisazione che, però, sempre per correttezza, andrebbe estesa a quasi tutti i prodotti alimentari (pane, pasta, frutta, verdura, pesce, carne….): è chiaro che il latte che beviamo oggi, proveniente da mucche selezionate per essere grandi produttrici in termini quantitativi, non è lo stesso che bevevano i nostri avi o i pastori di un tempo. Le mucche non sono le stesse del passato, così come sono completamente cambiati i metodi di allevamento e di produzione lattiero-casearia e sono cambiati, inoltre, i tipi di caseina e il loro contenuto percentuale.
In ogni caso, sul fatto che le caratteristiche nutrizionali del latte odierno siano peggiorate, il sospetto rimane. Le selezioni cui sono stati sottoposti gli animali non hanno avuto lo scopo di migliorare la qualità del latte, bensì quello di aumentarne esclusivamente la quantità.
Moderazione
Come sempre, il forte aumento di produzione è andato a scapito della qualità. In conclusione, è sempre fondamentale seguire la regola aurea della moderazione. Come per l’assunzione di qualsiasi altro alimento e per ogni forma di nutrizione, occorre che vi sia varietà e non vi siano eccessi. Seguendo questa semplice regola, un soggetto sano, nelle giuste quantità e scartandone solo un ristretto numero, può assumere qualunque alimento.
Vale quindi, anche per il latte e i suoi derivati, la regola aurea della quantità-qualità. Non esagerare nel loro consumo e preferire latticini di qualità è quindi un consiglio saggio. In sintesi, sarebbe opportuno non fare del consumo di latte un’abitudine quotidiana.
Calcio
Infine è utile ribadire che in tenera età c’è un maggiore fabbisogno di calcio, perché nel bambino si sta strutturando lo scheletro.
Pertanto, allo scopo di ridurre la perdita di questo minerale, dovuta all’effetto delle proteine animali, è utile inserire il consumo di alimenti ad alto contenuto di calcio all’interno di una dieta molto ricca di vegetali. Nell’adulto, questo consumo non è necessario perché il fabbisogno di calcio è minore, salvo che in alcuni stati fisiologici particolari, come ad esempio la gravidanza. Da sfatare, inoltre, la credenza, sbagliata, secondo la quale senza il latte non si possa crescere. Esso non è un veleno, dunque, ma non è neppure un alimento imprescindibile.
Toccasana per le ossa?
Sì ma, dopo lo svezzamento, non è affatto indispensabile per la salute, e fortunatamente, non è l’unica fonte di calcio.
Alimenti ricchi di calcio
Solo a mò di esempio, una fonte di calcio è anche l’acqua, specialmente se ricca di bicarbonato di calcio. Un’altra idea errata è che il consumo di latte provochi una perdita di calcio delle ossa in seguito all’acidificazione del sangue, contribuendo quindi all’insorgenza dell’osteoporosi. Ma in realtà non è provato che esista una relazione di causa-effetto tra il livello di acidità della dieta e la salute delle ossa. E se dovessimo affermare che quando l’acidità aumenta, cresce anche la quota di calcio eliminata attraverso le urine, dovremmo allo stesso tempo dire che, in compenso, viene stimolato il suo assorbimento intestinale. Pertanto, il bilancio totale del calcio non subirebbe modificazioni significative. Su osteoporosi, menopausa, latte e microbiota intestinale, tipi e derivati del latte, ritorneremo più avanti.
La prossima settimana affronteremo il tema alimentazione e fertilità.
“Nella vita tutto consiste nel poter digerire bene. Così l’artista trova l’ispirazione, i giovanotti la voglia d’amare, i pensatori le idee luminose e tutti quanti la gioia di stare al mondo.”
Guy De Maupassant
Il latte fa bene o male?
L’argomento suscita spesso un acceso dibattito, il più delle volte controverso. Provo a riportare il mio punto di vista riguardo al consumo di latte in età adulta, cercando di “limare” i dubbi e la diffidenza riguardo alla sua presunta nocività.
Dal punto di vista evolutivo, si stima che l’introduzione di questo alimento sia iniziato parallelamente all’addomesticamento degli animali, che, insieme alla coltivazione dei primi cereali, risale a circa diecimila anni fa. Questa rivoluzione nella nutrizione umana ebbe luogo contemporaneamente in diverse zone del mondo. La Mezzaluna fertile, ovvero la valle del Nilo e la Mesopotamia, fu certamente una delle prime aree in cui si verificò questo fondamentale passaggio evolutivo dei nostri antenati che, da raccoglitori e cacciatori, si trasformarono prevalentemente in agricoltori, pastori e allevatori.
L’uomo cominciò, quindi, a consumare il latte degli animali che allevava.
Scene in un fregio che ornava il tempio di Ninhursag, Tell al Ubaid c. 2475 a.C.. Il fregio, mostra quattro uomini e due coppie di vacche e pecore al di fuori di un recinto. I Sumeri consideravano molto importante la mungitura e la trasformazione del latte.
La settimana scorsa abbiamo evidenziato che il latte è il primo alimento con cui veniamo in contatto. Esso ci permette di crescere e, come noi, anche qualunque altro piccolo di mammifero sopravvive proprio perché chi lo ha messo al mondo lo allatta. Il piccolo è, ovviamente, in grado di assorbire e digerire questo nutrimento che lo aiuta a crescere.
Questo, ovviamente, può valere a maggior ragione anche per l’essere umano in età adulta e, infatti, l’essere umano è l’unico mammifero a bere latte anche dopo lo svezzamento. Al contrario, i bambini che nascevano prima che l’uomo diventasse allevatore, non potevano bere latte dopo lo svezzamento semplicemente perché non era un alimento disponibile, eppure crescevano e arrivavano all’età adulta senza particolari carenze. La vita media era più bassa, è vero, ma lo era per altre ragioni, non certamente perché non si beveva il latte.
Tuttavia, se è vero che l’essere umano è l’unico mammifero che beve latte anche dopo lo svezzamento, è pur vero che è l’unico mammifero dotato di mutazioni specifiche, sviluppate nel corso degli ultimi diecimila anni, che permettono di tollerare il lattosio anche in età adulta. In origine, in svariate zone del mondo, dopo il periodo dell’allattamento, gli individui persero la lattasi, l’enzima necessario per digerire il lattosio.
Tuttavia, in altre zone, specialmente nell’emisfero settentrionale, si presentò una mutazione genetica che rese tolleranti al lattosio anche gli adulti. Questo consentì alle popolazioni che vivevano nella parte settentrionale del mondo di continuare a consumare il latte e i suoi derivati anche da adulti, garantendo una fondamentale fornitura di calcio e vitamina D, che non sarebbe stato possibile assimilare diversamente.
In effetti, questa circostanza spiega perché, per le popolazioni del Nord Europa, dove non c’era grande disponibilità di altri alimenti ricchi di questi fondamentali nutrienti, si sarebbero selezionati i soggetti portatori di una così importante caratteristica genetica, pur originariamente dovuta a una mutazione casuale. Dono compensatorio della natura per colmare la carenza di sole? La distribuzione di questa peculiarità genetica in effetti non è omogenea, ma varia considerevolmente fra le etnie e fra i singoli individui. Sta di fatto che, nel Nord Europa, l’incidenza di intolleranti al lattosio è minima, mentre è molto più alta in Asia e in Africa.
Statistiche alla mano, circa il cinquanta per cento degli italiani è geneticamente intollerante al lattosio. Questo dato, allargato su scala mondiale, conferma che l’essere umano, tuttora, è evolutivamente disadattato al consumo di latte, pur restando chiare differenze fra individui e popolazioni diverse.
Il lattosio è uno zucchero che, se assunto da un portatore di intolleranza ad esso, causa problemi legati soprattutto alla sua fermentazione. Esso raggiunge, infatti, i distretti più lontani dell’intestino, fino al colon, dove normalmente non dovrebbe arrivare. In quest’area fermenta, producendo gas e gonfiore, richiamando acqua, e dando origine a conseguenze spiacevoli quali la diarrea osmotica. Queste problematiche sono però legate ai sovraccarichi di lattosio e non a delle piccole quantità. Da sottolineare che la lattasi, l’enzima che scinde il lattosio, è un enzima inducibile.
Pertanto, se un individuo geneticamente tollerante al lattosio smette di bere il latte, diventa fisiologicamente intollerante ad esso perché la produzione di questo enzima si abbassa e diventa insufficiente. Tuttavia, la lattasi si può riattivare consumando il latte in piccole quantità per poi aumentarle progressivamente. Per i soggetti geneticamente intolleranti, invece, la lattasi resta sempre insufficiente e quindi un sovraccarico di lattosio genera problemi.
Sempre per rigore divulgativo, va precisato che l’intolleranza al lattosio non è un’allergia e l’intollerante al lattosio non è obbligato a evitare totalmente latte e latticini. Si tratta di un’intolleranza quantitativa, pertanto è sufficiente evitare gli eccessi, per scongiurare il rischio di reazioni negative.
Oltre a questa eventualità, però, quando si subiscono interventi sul tratto digestivo, si impoverisce la quantità di lattasi a livello di quel tratto e, di conseguenza, la capacità di assumere latte senza problemi può ridursi. Nel periodo post-operatorio, tuttavia, è sufficiente attuare una rieducazione al suo consumo. Per chi perde del tutto la lattasi, o resta a lungo senza consumare latticini, esistono enzimi artificiali che possono essere introdotti per limitare questo problema. Quindi, da questo punto di vista, il latte, di per sé, non fa male e non è necessario eliminarlo dalla dieta.
Spesso si ritiene che l’avanzare dell’età determini un peggioramento della capacità di digerire il latte, ma questa associazione va smentita. Ci sono molti anziani che cenano con pane e latte, non è quindi vero che più si è anziani più il latte fa male. La buona digestione del latte non è legata all’età, bensì all’abitudine al suo consumo.
Un test molto efficace per svelare questa intolleranza è il “breath test”, un approccio rapido e non invasivo che permette una diagnosi certa.
La prossima settimana affronteremo l’argomento latte come potenziale “veleno bianco”.
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore. Sorge in sul primo albore; move la greggia oltre pel campo, e vede greggi, fontane ed erbe; poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi?dimmi:ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?
Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 1831
In questo e nei prossimi articoli, proverò a riportare il mio pensiero, ovviamente soggettivo, su un alimento discusso quale il latte.
Premetto che in medicina non ci sono mai certezze inconfutabili e questo vale, soprattutto, per una scienza giovane come la scienza dell’alimentazione. In merito, ogni conclusione rigorosamente scientifica può essere confutata da nuove prove ed esperimenti. Perciò occorrono studi continui allo scopo di avere maggiori e sempre più intense evidenze. Per ribadire i concetti che seguiranno, mi sono avvalso di riferimenti bibliografici e di considerazioni sull’argomento, espressi da colleghi autorevoli e da specialisti della materia.
Quello di cui parlo è un orientamento personale, il mio intento è solo quello di suggerire. Mi fanno sempre un po’ sorridere le argomentazioni di chi contesta uno specifico alimento sostenendo che esso non abbia più la qualità che lo stesso aveva nel passato. Più di 15 anni fa, credo, al liceo, ho studiato Virgilio e tuttora conservo un trasporto emotivo particolare per l’autore delle Bucoliche e delle Georgiche. Ma bisognerebbe proprio scomodare Virgilio per sostenere che il latte ormai non proviene più da vacche felici che brucano l’erba in pascoli incontaminati? E questo, poi, vale solo per il latte? Non mi piace che si suscitino paure all’unico scopo di screditare qualcosa o solo per trarne profitti illeciti. Le affermazioni estreme preferisco lasciarle agli altri.
Come sostenuto, ormai molti anni fa, dal professor Del Toma, non esiste nessun alimento che abbia l’esclusiva dei nutrienti benefici e perciò, sulla scia di questa considerazione, penso di poter affermare in modo conclusivo che nessun alimento è insostituibile. Tranne il latte e peraltro solo in una fase particolare della nostra vita.
Il latte ha di certo una storia antica, primo alimento che viene assunto alla nascita, è un alleato indispensabile e prezioso. Contiene tutte le sostanze necessarie per una rapida crescita dell’organismo. Certamente, dopo una prima fase, anche il latte, come tutti gli altri alimenti, può soddisfare le esigenze di un’alimentazione completa ed equilibrata solo se non viene assunto in modo esclusivo. E’ fuor di dubbio che qualunque alimentazione monotona arrechi squilibri e carenze. L’unica possibilità di approdare ad un’alimentazione corretta e completa consiste nel ricorrere alla combinazione di alimenti diversi, ciascuno dei quali sia in grado di apportare specifici elementi nutritivi e significativi contributi energetici.
In Italia abbiamo la fortuna di disporre di un’ampia varietà di alimenti frutto di tradizioni alimentari molto varie. Torno a ripetermi: non esiste un alimento ideale e completo. Pertanto, nessun alimento è indispensabile e, in quanto tale, esso può essere sostituito da altri cibi con caratteristiche analoghe.
Partendo da questo presupposto, suggerisco, anzi raccomando, di consumare sempre, ove possibile, una grande varietà di alimenti. E perché no, anche il latte. In epoche lontane, la vacca produceva il latte sufficiente al nutrimento del suo vitello. In seguito l’uomo ha sfruttato a suo vantaggio questa naturale potenzialità.
Il latte vaccino è per definizione il liquido di secrezione della ghiandola mammaria. In esso sono presenti sostanze di filtrazione che provengono dal sangue e altri composti sintetizzati direttamente nel tessuto mammario. Non a caso, si parla di “biologia” del latte e la cellula in cui si forma il latte è secondaria per importanza solo alla cellula foto-sintetica delle piante.
Il latte aiuta anche a comprendere il carattere sostanzialmente differente che i mammiferi hanno rispetto agli altri animali. L’allattamento, da un lato, prolunga il rapporto affettivo tra madre e figlio e, dall’altro, lo rende più comunicativo ed intenso. Il latte dei diversi mammiferi presenta significative differenze, dettate da una logica “naturale”. È prevalentemente “acquoso” come, appunto, quello vaccino o quello materno e questo fa sì che il piccolo possa poppare con una certa frequenza e restando sempre vicino alla madre. Laddove, invece, i neonati siano nascosti in nidi o tane, perché la madre deve allontanarsi in cerca di cibo, l’allattamento diventa necessariamente intermittente e, di conseguenza, il latte deve essere molto più nutriente.
La lattazione è un meccanismo riflesso che si verifica subito dopo il parto, grazie all’intervento degli ormoni prolattina e ossitocina, che stimolano, a loro volta, sia la formazione delle gocce di latte sia, con la contrazione, la sua fuoriuscita. Inoltre, un allattamento continuo con la poppata, stimola la formazione di prolattina, che, inibendo il ciclo ovarico, impedisce una seconda gravidanza.
Pensando anche alle nostre abitudini alimentari, il latte, assunto di sera, favorisce una sensazione di benessere e di calma, azione, questa, che potremmo definire “morfino-simile”.
Mi risulta invece più difficile fornire una spiegazione “scientifica” del vecchio consiglio della nonna di bere il latte con del rhum o del cognac per lenire i disturbi della tosse.
La prossima settimana proverò a spiegare i pro e i contro del latte ma senza integralismi da guerra santa.