Ma che dieta fai?

Quando il cibo da soddisfazione alimentare diventa una prova d’esistenza, allora si incarica il cibo di tenere un altro discorso che non gli compete e per il quale non dispone delle parole. Per questo le tecniche e le diete naufragano, in gioco non è la gola, ma l’insicurezza circa la propria esistenza che non ha trovato dove ancorarsi.

Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, 2003

Non posso, sono a dieta

Apro questo articolo con una doverosa precisazione. Non è mia abitudine fare crociate contro il singolo alimento o la singola bevanda, ben conscio del fatto che nessun singolo alimento, ed ovviamente nemmeno lo zucchero o qualsivoglia bevanda, sia responsabile, da solo, del sovrappeso o dell’obesità di un individuo. Sappiamo bene come sia cruciale, per mantenere il peso corporeo giusto, il bilanciamento tra calorie introdotte e calorie bruciate.

Dichiaro inoltre di non avere conflitti di interesse.

Non posso, sono a dieta. Quante volte abbiamo sentito affermazioni simili?
Ah, se solo ci fosse un rimedio miracoloso!

Invece, e soprattutto in questo periodo, si cercano scorciatoie o soluzioni miracolose. Il chiodo fisso, per chiunque, è quello di perdere peso velocemente.

Ma quale dieta

Diete improvvisate? Affidarsi all’utilizzo di integratori? La speranza, per tutti, è sempre quella di dimagrire con facilità e in poco tempo.

So di ripetermi ma credo che la mia perentorietà sia ampiamente giustificata . Non esistono rimedi miracolosi e non c’è niente di più sbagliato del pensare che ce ne possano essere. Occorre quindi diffidare di chi suggerisce determinate soluzioni senza una preparazione professionale adeguata. E so di rischiare di annoiare ma non compete a me di sponsorizzare chi, sull’argomento, abbia un interesse commerciale.

Per mantenere sotto controllo il peso corporeo è importante seguire un’alimentazione salutare ed equilibrata, affiancata a una regolare attività fisica e a corretti stili di vita. Solo così è possibile contrastare sovrappeso e obesità.

La dieta dimagrante è un percorso da seguire affiancati da professionisti competenti e non può essere una scelta improvvisata. Quando si sceglie il “fai da te” o ci si affida a persone incompetenti, magari molto abili nella promozione di sé stessi, è importante non abboccare ai suggerimenti di etichette accattivanti o a promesse di risultati veloci e miracolosi.

Dieta squilibrata

All’erta anche riguardo a suggerimenti di diete molto squilibrate, che impongono di togliere dalla propria alimentazione intere classi di prodotti, come, ad esempio, quelle iperproteiche, che aboliscono i carboidrati. Fidatevi, questi approcci non sono mai risolutivi e, anche se inizialmente favoriscono un calo ponderale, la loro conseguenza quasi immediata è il recupero dei chili persi, con ripercussioni molto negative sul metabolismo.

Mi permetto di chiosare il discorso con una affermazione magari ovvia e banale: la perfezione non esiste nemmeno in ambito nutrizionale. Tutti noi siamo il frutto di una evoluzione ed il nostro organismo si è evoluto sviluppando adattabilità e flessibilità. Questo, nei secoli, ci ha permesso non solo la sopravvivenza, ma anche uno stato di salute pieno in condizioni potenzialmente critiche come una insufficienza calorica o vitaminica e minerale.

Allo stato attuale, la dieta dimagrante per definizione dovrebbe sempre essere ipocalorica, ovvero apportare meno calorie rispetto al fabbisogno normale. Poi, di certo, vi è sempre una quota di soggettività per cui, a parità di caratteristiche antropometriche e di attività motoria, alcune persone tendono a dimagrire più facilmente ed altre meno. Ogni dieta seria deve avere queste finalità: essere, comunque, quantitativamente soddisfacente, ovvero garantire l’apporto energetico di ogni singolo nutriente nelle giuste quantità. Ma deve essere anche qualitativamente varia, gradita al palato e adeguatamente ripartita nel corso della giornata.

Per completare il filone “integratori e alimentazione” sono arrivato a questo compromesso “mentale”. Anni addietro mi chiedevo: perché assumere integratori se queste stesse sostanze sono comunque presenti nel cibo che mangiamo ogni giorno? Questa domanda “retorica” non è tuttavia sempre vera e non amo liquidare la questione in modo superficiale.

Oggi non tutti gli alimenti contengono realmente l’intero ventaglio di sostanze che ci servono oppure, se le contengono, le contengono in quantità estremamente basse e insufficienti per i nostri fabbisogni. Inoltre, le condizioni di vita e le risorse naturali del pianeta, oggi, sono diverse rispetto al passato e questo incide in modo sostanziale sulla disponibilità di sostanze nutrienti necessarie per gli esseri umani.

I motivi sono i più disparati, si va da un inevitabile “impoverimento” del terreno, meno ricco di minerali, e dalla presenza di “tossine e sostanze inquinanti” negli alimenti, ai cibi di provenienza non locale, alla modalità di cottura degli alimenti, ai fenomeni collegati allo stress fisico, mentale ed emotivo dei soggetti, al naturale invecchiamento, con un uso eccessivo di farmaci e la successiva perdita della diversità microbica del microbiota.

Proprio perché do sempre più spazio alla soggettività dei problemi, penso che il modo migliore per assicurarsi una nutrizione adeguata sia la combinazione di una dieta sana e di alcuni integratori fondamentali. Ovviamente gli integratori non compenseranno mai una dieta male equilibrata ma hanno una loro giustificazione quando si tratta di colmare alcune carenze nutrizionali o di proteggere il corpo nei momenti di debolezza e di astenia. Pertanto, in modo affettuosamente indulgente…ci si può ogni tanto concedere qualche sfizio per non mantenere sempre un atteggiamento troppo restrittivo e punitivo riguardo al cibo.

La prossima settimana parleremo di cibo e longevità.

Ecosostenibilità e transizione verde

La pubblicità è solo un modo per far spostare
più rapidamente un prodotto dagli scaffali
del supermercato alle borse della spesa.
(Gavino Sanna)

Ecosostenibilità

L’attenzione dei consumatori all’ecosostenibilità è aumentata negli ultimi anni e ha obbligato le aziende a rendersi a loro volta più responsabili sull’argomento. Inoltre, negli ultimi tempi, i cosiddetti “claims ambientali”, ovvero l’impegno che le aziende pongono nel rispettare il più possibile l’ambiente, hanno acquisito una sempre maggiore importanza.

Ovviamente tutto questo non è solo frutto di buona volontà ma è anche consapevolezza del fatto che una pratica virtuosa di questo tipo, trovando il consenso del consumatore, contribuirà ad accrescere il fatturato.

Per pubblicità ambientale (green claims) si intende quella serie di promesse che rinvia, implicitamente o esplicitamente, alla relazione tra prodotto/servizio e ambiente e che propone l’immagine di una azienda impegnata sul fronte del rispetto ambientale e attenta a uno stile di vita ecocompatibile.

Questo tipo di pubblicità deve essere fondata su precisi requisiti, deve offrire informazioni chiare e non ambigue, comprensibili per il consumatore e precisando l’ambito cui si fa riferimento (ovvero il prodotto, il processo di produzione, l’imballaggio, l’intero ciclo di vita o parte di esso).

Le affermazioni devono essere sostenute da dati pertinenti, significativi e verificabili. Le prove correlate alle rivendicazioni del messaggio devono essere solide, sempre aggiornate al momento nel quale il messaggio è diffuso e seguire standards in sintonia con una metodologia scientifica riconosciuta.

Sono da bandire decisamente affermazioni vaghe o generiche e i claims devono rispecchiare la coerenza del beneficio ambientale promesso con la funzione di utilizzo, il settore e la categoria merceologica del prodotto.

Questo ambito è regolato da uno specifico “Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale” che impone precisi standards di correttezza affinché gli slogans ‘ecologici’ non divengano frasi prive di un concreto significato riguardo alla caratterizzazione e alla differenziazione dei prodotti e delle aziende.

In merito, gli organi autodisciplinari si sono sempre  preoccupati di smascherare il cosiddetto “green washing”, ovvero quel tipo di operazione mirata ad ammantare la comunicazione commerciale di promesse ecologiche che non reggono, nella misura vantata, ad un approfondimento del messaggio pubblicitario. Tanto per fare un esempio, risulterebbe ingannevole pubblicizzare un prodotto ittico come in possesso di caratteristiche esclusive, o di superiorità, ma non dimostrate, tipo la pesca sostenibile, la salvaguardia dell’ambiente marino o l’uso di energie rinnovabili.

Spesso ci troviamo di fronte ad affermazioni perentorie che accreditano convinzioni sbagliate da parte del consumatore e che non trovano alcuna giustificazione nei fatti. Sono consapevole del fatto che il problema esista anche riguardo all’ambito nel quale l’informazione pubblicitaria viene veicolata.

Lasciando stare il mondo, per me non del tutto noto, dei social, mi soffermo su quello della televisione e dei giornali. In ambito giornalistico, una pubblicazione seria si preoccupa di presentare una nota pubblicitaria ben distinguibile dagli articoli veri e propri, curando l’aggiunta della scritta “Pubblicità” nella parte in alto a destra. Il fine dovrebbe essere quello di non confondere le idee ai lettori con finti articoli.

Questa tendenza sta invece diventando prassi da quando è iniziata la crisi del settore dell’editoria, con conseguente costante calo delle vendite di quotidiani e riviste. Ne nasce la comprensibile necessità, per non chiudere i battenti, di fare quadrare i conti procurandosi la pubblicità ad ogni costo. E non è infrequente leggere pubbliredazionali addomesticati che ‘ingentiliscono’ l’immagine dell’inserzionista e aiutano quindi a firmare con lui il contratto.

Per essere chiari, si definiscono pubbliredazionali gli articoli, firmati da giornalisti professionisti, nei quali si parla bene di una nuova iniziativa, o di un prodotto, sottoponendo, prima della pubblicazione, il testo all’azienda che lo pagherà. Se si instaura un rapporto commerciale ambiguo fra editore e azienda, per la pubblicazione di “finti articoli”, diventa difficile, anche per riviste o trasmissioni “salutiste” non accettare pubblicità da ambiti equivoci quali quelli del “junk food” e delle diete “ammiccanti”. Capisco che non sia facile tenere la schiena dritta, ma…..

Un discorso analogo va fatto per le scuole, sempre in deficit di risorse economiche per l’espletamento delle loro attività. Anche in questo ambito, si rischiano comportamenti contraddittori come, ad esempio, messaggi educativi finalizzati alla prevenzione della obesità negli adolescenti e contemporaneamente, la presenza, nelle scuole, di macchine distributrici di bevande gassate e merendine ipercaloriche, non proprio esempi di alimentazione genuina.

Spesso l’efficacia del marketing fa perdere di vista l’impatto sulla salute di questi prodotti zuccherati. Anche la scuola è a conoscenza del fatto che lo zucchero contenuto in certi alimenti e bevande è in quantità elevata. Se il loro consumo si ripete con regolarità, il rischio di malattie legate all’alimentazione, quali per lo più diabete ed obesità, è veramente molto alto. Del resto basterebbe riflettere su un dato inequivocabile, cioè che molto spesso le multinazionali che producono questi alimenti spendono molti più soldi in pubblicità ammiccanti che in investimenti con scopi virtuosi.

Va comunque precisato che da oltre un anno è stato sottoscritto un Protocollo di Intesa tra il Ministero della Salute e l’Associazione Italiana degli industriali produttori di bevande analcoliche (ASSOBIBE) mirato ad una riduzione dell’offerta di prodotti calorici, all’astensione dalla vendita diretta di bibite zuccherate anche nelle scuole superiori e all’astensione dalla pubblicità e dal marketing delle medesime riguardante i ragazzi sotto i 13 anni.

La prossima settimana parleremo di come difendersi dal marketing delle diete.