Meditazione e cibo

Come la pioggia penetra in una casa mal coperta,
così pure la passione penetra in una mente
non usa alla meditazione.
(Buddha)

Tutte le miserie dell’uomo derivano dalla sua incapacità
di isolarsi in una stanza e restarsene in pace da solo.
(Blaise Pascal)

Quando si tratta di dimagrire, di solito, il primo pensiero è quello di iscriversi a una palestra o di anteporre l’insalata all’hamburger. Può sembrare illogico il considerare l’idea di sedersi, di concentrare i propri pensieri e di “meditare” per dimagrire.

La verità è che praticare attività fisica e mangiare più sano sono sicuramente passi indispensabili, ma perché questi divengano sostenibili è necessario fare un lavoro più profondo.

La perdita di peso non è mai semplicemente qualcosa di fisico. Noi umani siamo esseri emotivi e dobbiamo tener presente questa considerazione se vogliamo sviluppare un rapporto sano con il cibo, e, se necessita, iniziare un percorso di dimagrimento.

Occorre consapevolezza nell’alimentarsi.

Solo così si possono affrontare comportamenti negativi riguardo al nutrirsi e distinguere, ad esempio, se si mangia perché si è stressati o lo si fa perché si ha effettivamente appetito. E’ appurato che, con tecniche mirate, quale il mindful eating o l’intuitive eating si abbassano i livelli di stress e di infiammazione.

In parole povere, si riducono i livelli di cortisolo e di proteina C-reattiva, il che può aiutare a raggiungere la perdita di peso desiderata. Il cortisolo è associato all’accumulo di grasso nella zona addominale, mentre elevati livelli di proteina C-reattiva possono essere un segno di infiammazione, ormai ben riconosciuta come una delle cause di aumento ponderale.

Alimentazione emotiva

Riprendiamo il concetto dell’alimentazione emotiva. Essa è presente quando le persone tendono a mangiare troppo a causa di forti emozioni o sentimenti, piuttosto che per rispondere ai propri effettivi stimoli di fame. A volte, quando si provano forti turbamenti, queste stesse emozioni possono oltrepassare il senso fisico di sazietà per poi portare a mangiare in eccesso.

In questi casi, il cibo è usato come un meccanismo di difesa, che attutisce momentaneamente le emozioni. Questa esperienza contribuisce a innescare un circolo vizioso. Avvertire emozioni stressanti può portare a mangiare troppo, il che porta a sua volta a provare senso di colpa o vergogna, favorendo la percezione di non essere in grado di elaborare o gestire le emozioni negative e lo stress.

Imparare a mangiare consapevolmente

Il mindful eating e l’intuitive eating, a loro volta, aiutano a rallentare e ad ascoltare i segnali di fame o di sazietà che il corpo ci manda e possono aiutarci a smettere di mangiare in modo emotivo. Si tratta di un approccio mente-corpo, che rifiuta il concetto di dieta in senso drastico e rigorosamente restrittivo e che insegna a fidarsi del proprio corpo e ad ascoltare i propri stimoli fisici interni, con l’obiettivo di migliorare il rapporto con il cibo. Essi comprendono i principi dell’alimentazione consapevole, ma riguardano anche una filosofia di vita più ampia ed estesa che si estende a tutto il corpo e che utilizza le informazioni nutrizionali senza pregiudizi.

Eliminare le distrazioni

E’ fondamentale: occorre eliminare tutte le distrazioni quando si mangia, proprio per coinvolgere tutti i sensi. Ciò significa: Tv spenta, telefono spento o silenziato e lontano dal tavolo da pranzo. Ovviamente si mangia solo seduti, su un tavolo, e lontani dal computer. In questo modo si può masticare bene il cibo e far lavorare tutti i sensi.

Ci si può concentrare sull’odore del cibo nel piatto, sulla sua consistenza, forma. In questo modo possiamo riflettere sul significato simbolico del cibo. Del resto, e questo ci distingue dal regno animale, per noi umani, mangiare non significa solo appagare la sensazione di fame ma anche il bisogno di convivialità, nel senso latino del termine: piacere, consolazione, rifugio.

Certo, prima dei significati etimologici e psicologici, è facile capire che il cibarsi è uno dei più importanti atti dei viventi: se non si mangia, si muore; solo dopo il bisogno di mangiare subentra il desiderio di mangiare ed il cibo assume significati che vanno oltre il “semplice” nutrimento.

Ultimamente, si parla di comfort food o cibo consolatorio o cibo per l’anima. Esso, al di là dei cibi serotoninergici (ovvero in grado di stimolare la produzione di serotonina, ormone del benessere, quali il cioccolato), è cibo di conforto per chi lo consideri tale. E allora può essere, a seconda dei casi, il latte dell’infanzia, la ciambella della nonna, il ragù del papà, la fettina panata con patatine fritte della domenica.

Ognuno ha il suo cibo.

Non è il cibo in quanto tale che consola, quanto l’attribuzione psicologica del significato, soggettivo, che può variare da situazione a situazione. È un fatto “umorale” e può, pertanto, sia consolare per una nostalgia sia premiare per una situazione ritenuta meritevole di premio.

Succede allora che ostriche, caviale e champagne siano per alcuni cibi afrodisiaci. Ma, allo stesso modo, per altri, lo è anche un bel panino con il salame o con la mortadella. Insomma, anche in questo caso, ciò che conta è la proprietà intrinseca attribuita psicologicamente al cibo piuttosto che le sue reali proprietà. Come tralasciare l’atmosfera, il momento magico nel quale si consuma quel cibo?

Il cibo, tuttavia, non ha solo accezioni positive. Spesso, in alcune situazioni patologiche quali i disturbi del comportamento alimentare, ad esempio, il cibo si associa ai sentimenti negativi di rabbia, senso di colpa, tristezza o frustrazione. Ma del rapporto distorto con il cibo parleremo in modo esaustivo più avanti.

La prossima settimana proverò invece a dare un taglio spirituale al cibo.

Motivazione e dieta

Il premio per una cosa ben fatta è l’averla fatta.
(Ralph Waldo Emerson)

Ci sono solo due errori
che si possono fare
nel cammino verso il vero:
non andare fino in fondo e non iniziare.

(Buddha)

Cominciare è già metà dell’opera:
Dimidium facti qui coepit habet

(Orazio)

Indipendentemente dall’esigenza di mettersi a dieta (nel senso non etimologico, ma di restrizione calorica) per il bene della propria salute, oppure anche per colmare un bisogno “narcisistico” di piacere e piacersi”, occorre sempre una forte motivazione.

Rimanere concentrati sull’obiettivo da raggiungere ha a che fare sempre con la fiducia verso sè stessi e l’autostima. Se non si crede in sè stessi e nelle proprie capacità, l’impegno verrà sempre considerato insormontabile.

È necessario mantenere sempre una forte motivazione ed è fondamentale puntare a raggiungere un risultato ragionevole, prefissandosi, almeno nel breve, obiettivi non troppo elevati e concentrandosi, da subito, sui piccoli risultati, evitando battute di arresto.

Occorre darsi del tempo e, anche se la bilancia non si smuove, conviene, comunque, concentrarsi sugli aspetti positivi quali la scoperta di una maggiore energia, di un umore migliorato, o anche solo la sensazione di una minore pesantezza.

L’essere motivati è un fattore chiave per non mollare, anche se sgarrare ogni tanto fa bene all’umore e dà la giusta carica per rispettare le regole alimentari. La giusta motivazione nella dieta è necessaria non solo per perdere il peso in eccesso, ma anche per mantenere la linea, una volta concluso il percorso dietologico.

Sostenere che dimagrire richieda una forte motivazione è un concetto semplice, ma non deve essere dato per ovvio o scontato se riflettiamo sul fatto che tra le migliaia di persone che intraprendono un percorso dimagrante solo poche ottengono e mantengono i risultati sperati.

Forse l’errore è quello di cercare il tutto e subito, la scorciatoia, sapendo che la risorsa motivazionale è fragile. Il “vorrei ma non ci riesco“, significa solo “non sono sufficientemente motivato“. Ed è un gran bel problema, poiché la motivazione può nascere solo da sé stessi.

Certo, il compito di un buon dietologo è anche quello di essere empatico, una sorta di coach, ovvero di tenere alto lo stimolo del suo paziente. Tuttavia occorre che lo stimolo ci sia. Più è forte la causa, il motivo (non necessariamente medico) per cui si vuol dimagrire, maggiore sarà la motivazione. Laddove questa non fosse costruita su emozioni positive, sulla disciplina e sulla voglia di farsi del bene, si aprirebbe lo spazio per i disturbi del comportamento alimentare.

Per avere la giusta motivazione a dimagrire, occorre vivere un periodo di equilibrio emotivo che permetta di saper accettare la frustrazione di eventuali fallimenti. Altrimenti, a quel punto, lo scatenarsi di un circolo vizioso diventerebbe ineluttabile: fallire determina frustrazione e bassa autostima e tutto ciò riduce l’adesione al programma con la non infrequente ricaduta nel ricorso al cibo consolatorio.

Stabilità psicologica significa anche autoaccettazione e, se non si lavora su sè stessi, non si gradirà mai la propria immagine fisica. In questo caso, a prescindere dai chilogrammi e dai centimetri, il peso sarà sempre considerato eccessivo, la pancia sempre prominente, il seno sempre inadeguato, i polpacci sempre grossi e le cosce sempre gonfie.

Rafforza la motivazione il saper apprezzare i progressi periodici, senza concentrarsi solo sull’obbiettivo finale, talvolta piuttosto lungo a venire.

Giova concentrarsi sugli aspetti positivi, dunque! Ad esempio, perdere 3 kg il primo mese e solo uno nel secondo, non deve essere interpretato come una riduzione del processo di dimagrimento, bensì come la conquista di una perdita di 4 kg.

Non solo per esperienza personale, ma anche perché sono dati statistici assodati, è certo che le persone che hanno obiettivi realistici ed aspettative positive, e che si sentono sicure della propria capacità di raggiungere gli scopi prefissati, tendono a perdere più peso.

Come contraltare, invece, chi ambisce a perdere molto peso in fretta ha altissime probabilità di abbandonare il programma perdendo la motivazione. Uno studio condotto su donne in sovrappeso che hanno partecipato ad un comune programma di perdita ponderale ha rilevato che quelle focalizzate sul processo, e non sul risultato finale, hanno maggiori probabilità di successo e meno probabilità di deviare dalla propria dieta rispetto a quelle che si concentrano solo sul risultato finale.

Per chi deve dimagrire per fini salutistici, rammento che anche solo una perdita di peso del 5-10% rispetto a quello iniziale può avere un grande impatto sulla salute, ovvero può migliorare il controllo della glicemia, abbassare i livelli di colesterolo, trigliceridi, acido urico, può normalizzare la pressione arteriosa e può ridurre i dolori articolari.

Alcuni traggono giovamento dal tenere sempre viva la motivazione usando un diario alimentare per monitorare il proprio comportamento e confrontarlo con la perdita di peso raggiunta periodicamente.

Utile anche il creare un supporto sociale, coinvolgendo le persone giuste, con le quali condividere obbiettivi e metodi. Alcuni pazienti mi hanno confidato che è giovato loro anche formalizzare l’impegno, rendendolo pubblico: così facendo hanno avuto maggiori probabilità di perseguire i propri obiettivi grazie all’aumento del senso di responsabilità.

Corretta comunicazione tra dietologo e paziente

Come messaggio conclusivo, direi che bisogna tenere sempre vivo il dialogo e la corretta comunicazione tra dietologo e paziente. Ma occorre anche che il paziente, per mantenere la motivazione a dimagrire, migliori il dialogo con sé stesso.

L’esercizio fisico e il deficit calorico sono fondamentali, ma è la prospettiva mentale del paziente a fare la differenza tra successo e fallimento. Non bisogna mai esagerare con l’autocritica. Se questa è eccessiva diventa una cosa destinata a sabotare gli sforzi e ad innescare la secrezione del cortisolo, ormone dello stress. Questo, a sua volta, stimola il desiderio di junk food, cibi grassi e dolci.

Il filone sullo stress, dieta e stile di vita pretende spazi non ridotti e ne riparleremo più in là.

La prossima settimana invece provo a farvi meditare…..